TRIBUNALE PER I MINORENNI 
                         di Reggio Calabria 
 
    Il Tribunale per i  minorenni  di  Reggio  Calabria,  riunito  in
Camera di consiglio, con l'intervento dei signori: 
        dott. Roberto Di Bella, Presidente; 
        dott. Sebastiano Finocchiaro, giudice; 
        dott. G.M. Patrizia Surace, giudice onorario; 
        dott. Giuseppe Marino, giudice onorario; 
    nel procedimento n. ... VG., relativo ai minori D.S. C.M. e  D.S.
R.P., nati a ... rispettivamente il giorno ..., di D.S. G.C. e F.  N.
S. 
    ha emesso la seguente ordinanza. 
    Con decreti emessi in data ..., questo tribunale dichiarava  D.S.
G.C. - arrestato dopo un lungo periodo di latitanza e condannato  (v.
provvedimento di cumulo e ordine di esecuzione  in  atti)  alla  pena
detentiva di anni trenta di reclusione per i  reati  di  associazione
per delinquere di tipo'`ndranghetistico, omicidio e altro -  decaduto
dalla responsabilita' genitoriale sui figli minori D.S. C.M e R. P. 
    Con il medesimo decreto dell'... questo tribunale: 1) co-affidava
i minori D.S . al Servizio sociale competente per territorio  per  le
attivita'  di  vigilanza,  assistenza,  educazione  alla   legalita',
chiarificazione  del  ruolo  paterno  e  sostegno   psicologico,   da
espletarsi   in   collaborazione   con   il   Consultorio   familiare
territorialmente  competente  e  con  associazioni  qualificate   del
volontariato  antimafia;  2)   demandava   alle   superiori   agenzie
territoriali di elaborare in favore di F.N.S. - madre dei minori - un
percorso  di  recupero/sostegno  delle  competenze  genitoriali;   3)
prescriveva a F.N.S. di attenersi alle prescrizioni  impartitele  per
il benessere  psicofisico  dei  figli  minorenni;  4)  richiedeva  al
Direttore   della   Casa   circondariale   di   ...   di    attivare,
compatibilmente con il particolare regime di detenzione,  i  supporti
necessari a garantire incontri adeguati tra D.S. G.C , sottoposto  al
regime speciale di cui all'art. 41-bis o.p., e i figli minori. 
    Tale  provvedimento  era  emesso,  con  l'obiettivo  di   fornire
adeguate tutele per una regolare crescita psicofisica  dei  minorenni
D.S. , a seguito delle  non  lusinghiere  informazioni  pervenute  in
ordine al ruolo educativo della signora F.N.S. 
    La donna, secondo quanto affermato dagli esperti del  Consultorio
familiare delegato,  proponeva,  sia  pure  contraddittoriamente,  la
propria diversita' culturale e quella della sua storia familiare,  ma
affascinata dal marito e dal suo mondo, idealizzava il ruolo  paterno
del coniuge, con la conseguenza che: 1) «l'assenza del  padre,  lungi
dal provocare un indebolimento della  sua  autorita',  ha  portato  i
minori - i quali sperano torni presto  a  casa  -  ad  interiorizzare
maggiormente la figura paterna, mitizzata dalla  lontananza»;  2)  «a
causa di questa  idealizzazione,  la  signora  F.  ha  difficolta'  a
mettere  in  atto  un  processo  di   rielaborazione   della   figura
genitoriale, che la porti a giudicare in maniera  critica  le  azioni
del marito». 
    Allarmanti erano poi le ulteriori conclusioni,  rassegnate  dagli
esperti del citato Consultorio  familiare,  secondo  cui  «in  questa
situazione, il rischio per C. preadolescente maschio, e' che viva  il
padre come modello cui identificarsi  positivamente,  anche  rispetto
alla parte deviante»; 
    Cio'  premesso,  questo  tribunale   riteneva   condivisibili   i
suggerimenti forniti dagli operatori delegati al fine di contenere la
potenziale  pericolosita'  evolutiva  ravvisata,  ovvero  quello   di
attivare: 1) percorsi di sostegno alla genitorialita' in favore della
madre per consentirle di avviare un processo di rielaborazione che la
portasse a giudicare in maniera critica le azioni del marito  e,  nel
contempo, a tenere un corretto approccio con i  figli  minorenni;  2)
percorsi di sostegno psicologico e di educazione alla legalita' per i
minori D.S. , con l'obiettivo che «i medesimi  prendano  le  distanze
dal modo  di  vivere  del  padre  per  orientarsi  verso  modelli  di
comportamento normativamente accettabili». 
    Nel contempo, questo giudice demandava agli psicologi specialisti
del Consultorio familiare delegato, in collaborazione con il Servizio
sociale territoriale, il compito di programmare in favore dei  minori
una mirata attivita' di sostegno psicologico e  socio-educativo,  con
l'obiettivo di spiegare loro gradualmente la  realta'  delinquenziale
in  cui  si  era  formato  il  padre  e  i  reali  motivi  della  sua
carcerazione;  infine,  segnalava  l'opportunita'  di  preparare   la
signora e i minori anche a programmare, in un futuro non remoto,  uno
spostamento mirato dalla citta' di ..., segnalando che tale soluzione
doveva essere contemplata e adeguatamente programmata, in  quanto  la
negativa reputazione della famiglia paterna,  i  connessi  rischi  di
emarginazione  sociale  e  la  suggestione  di  determinati   modelli
culturali comportavano il rischio elevato di esposizione dei  minori,
una  volta  raggiunta  l'  eta'  dell'adolescenza,  a  situazioni  di
devianza o di pregiudizio per la loro integrita' emotiva. 
    Parimenti, il tribunale segnalava la necessita' che  il  previsto
dispositivo fosse in grado: 1) di spiegare ai bambini, con le cautele
opportune, che il padre, attesa l'entita' della pena inflittagli, non
sarebbe tornato presto a casa; 2) di preparare i minori  prima  degli
incontri con il padre che,  secondo  il  condivisibile  parere  degli
esperti, non dovevano essere interrotti. 
    Analogo percorso di preparazione questo giudice prevedeva, tenuto
conto del peculiare regime di restrizione e con la collaborazione del
Direttore della Casa circondariale di ..., per  D.S.  G.,  segnalando
che lo stesso doveva essere messo in  grado  di  rispondere  in  modo
corretto alle eventuali domande dei figli in ordine al suo  stato  di
carcerazione e ai motivi della sua assenza educativa. 
    L'istruttoria di seguito espletata imponeva  -  pur  con  qualche
modifica - la conferma delle statuizioni adottate in data 8  novembre
2016. 
    Dall'indagine  svolta  in  esecuzione  del  citato  provvedimento
emergeva che: l) la signora F.  e  i  figli  avevano  abbandonato  il
degradato  quartiere  di  per  trasferirsi  presso  l'abitazione  dei
genitori della signora (nonni materni) in una zona della citta' e  in
un contesto ambientale/familiare piu' rispondente alle  esigenze  dei
minori, apparsi agli operatori socievoli, sereni e seguiti, oltre che
dalla madre, dalla norma e dagli zii materni;  2)  la  signora  F.  -
insegnante di sostegno presso  alcune  scuole  elementari  -  si  era
spontaneamente recata presso il ... per un sostegno psicologico; 3) i
due bambini - regolarmente iscritti a scuola e frequentanti centri di
aggregazione culturale e sportiva - e la madre avevano  iniziato  dei
percorsi di affiancamento con alcuni volontari dell'associazione e un
gruppo parrocchiale cittadino; 5) i due bambini  stavano  incontrando
regolarmente, con cadenza trimestrale, il padre  detenuto  presso  il
carcere di... 
    Dall'audizione  della  signora  F.  e  dalle   risultanze   della
relazione sociale  in  atti  risultava  ancora  che  la  donna  aveva
finalmente  rivelato  ai  figli  la  reale  condizione   del   padre,
modificando l'originaria versione che lo stesso si trovasse fuori per
motivi di lavoro. 
    Cio' premesso, tenuto conto dell'impegno profuso dalla signora F.
e del suo volontario allontanamento dal quartiere di ...,  oltre  che
dei sani legami affettivi con i parenti  di  parte  materna  e  della
ancora tenera eta' dei minori D.S. e', questo tribunale rinviava ogni
determinazione in ordine al programmato trasferimento dei medesimi  e
della madre  in  altra  localita',  nei  termini  in  cui  era  stato
auspicato con il decreto in data 8 novembre 2016. 
    Tuttavia, la  condizione  del  padre  e  il  gravissimo  contesto
familiare (ramo paterno) di riferimento, ritenuto dagli inquirenti il
gruppo criminale 'ndranghetistico egemone in imponevano  (v.  decreto
emesso in data 31  ottobre  2017)  di  proseguire  le  gia'  disposte
attivita' di coordinamento e monitoraggio della crescita dei  minori,
con l'obiettivo di prevenire l'eventuale coinvolgimento in  relazioni
pregiudizievoli al  loro  sano  sviluppo  e  di  rafforzare  -  quale
necessario contraltare - il percorso genitoriale della madre. 
    Quanto alla posizione di D.S. G. , questo giudice  registrava  la
sincera volonta' del medesimo di non  recare  sofferenza  emotiva  ai
bambini e di seguire le indicazioni impartite da questo tribunale (v.
verbale di audizione del 16 dicembre 2016). Per  tale  motivo  questo
tribunale richiedeva (v. decreto in data 31 ottobre 2017) al detenuto
-  pur  senza  rinunciare  alle  sue  prerogative  di  difesa  -   un
progressivo passo avanti nella relazioni con i figli, auspicando  che
gli stessi fossero edotti - in funzione preventiva e di una  corretta
relazione educativa  -  dei  crimini  commessi  dalla  famiglia  D.S.
(quelli  accertati  con  sentenza  definitiva),  dei   motivi   della
carcerazione del padre e delle cause della morte (violenta) del nonno
paterno P. D.S., oltre che della condizione  carceraria  degli  altri
familiari. 
    Tali informazioni, lungi  dall'essere  intese  come  un'ulteriore
punizione nei confronti di chi si trova in una evidente condizione di
prostrazione emotiva per la  carcerazione  e  per  la  consequenziale
privazione degli affetti,  apparivano  (e  appaiono)  essenziali  per
costruire una relazione  franca  padre-figli  e  costruttiva  per  il
benessere dei medesimi minori, con l'obiettivo - non utopistico - che
gli stessi  potessero  (e  possano)  ricevere  proprio  dal  genitore
ristretto  indicazioni  adeguate  al  loro  sviluppo  educativo,  nel
rispetto delle regole della convivenza civile. 
    Al riguardo, particolarmente significativa -  in  funzione  della
costruzione di un intenso e fruttuoso rapporto  con  i  figli  -  era
apparsa la riflessione avviata dal D.S. nel corso dell'esame delegato
circa la condizione di sofferenza in  cui  egli  versava  da  bambino
(«Quando io ero bambino ho vissuto un situazione  analoga  e  ricordo
perfettamente l'angoscia provata nell'attendere  il  rientro  di  mio
padre...»), nonche' l'auspicio formulato dal medesimo  che  la  terza
generazione dei D.S. (ovvero i suoi figli) potesse rimanere fuori dai
circuiti giudiziari. 
    Per tale motivo, questo  giudice  suggeriva  di  utilizzare  tale
riflessione come direttrice su cui «costruire - con  l'ausilio  dello
psicologo   e   dell'educatore    professionale    della    struttura
penitenziaria di attuale detenzione - il cardine su cui progettare la
relazione tra il D.S. e i figli». 
    Pertanto, con i decreti emessi in  data  31  ottobre  2017  e  11
novembre 2018, prendendo atto  del  positivo,  per  quanto  parziale,
percorso psicopedagogico compiuto dal D.S. questo tribunale  ribadiva
per  ulteriori  anni  due  le  statuizioni,  dei   provvedimenti   in
precedenza emessi, e in particolare:  1)  demandava  all'U.S.S.M.  in
sede il compito di raccordarsi con il  Direttore  e  gli  specialisti
della Casa circondariale di ... per la necessaria collaborazione;  3)
demandava  alle  superiori  agenzie  territoriali   (Ussm,   Servizio
sociale, Consultorio familiare) il compito di elaborare in favore  di
F.  N.  S.  un  percorso  di   recupero/sostegno   delle   competenze
genitoriali nei termini in motivazione  indicati,  avvalendosi  della
collaborazione  della  rete  di  associazioni  e  di  predisporre  un
programma di sostegno psicologico dei minori D.S.; 4)  richiedeva  al
Direttore   della   Casa   circondariale   di   ...   di    attivare,
compatibilmente con il particolare regime di detenzione,  i  supporti
necessari (accompagnamento  psicologico  ed  educativo)  a  garantire
incontri adeguati - nei termini in motivazione indicati  -  tra  D.S.
G.C. e i figli minori; 5) prescriveva a D.S. G.C. di  attenersi  alle
indicazioni impartitegli dagli operatori  delegati  per  un  corretto
approccio con i figli minori. 
    Con istanza in data 29 marzo  2020  D.S.  G.C.,  detenuto  ancora
sottoposto al regime penitenziario dell'art. 41-bis O.P., sollecitava
un colloquio visivo attraverso  la  piattaforma  Skype  con  i  figli
minorenni C.M. e R.P., segnalando l'impossibilita' di avere  contatti
con loro per le stringenti regole  previste  a  causa  dell'emergenza
Covid 19 dalla circolare n. 101903/AG del D.A.P.,  che  esclude  (va)
espressamente   i   minori   dall'ulteriore   colloquio    telefonico
sostitutivo (di quello visivo)  concesso  ai  soggetti  ristretti  in
regime di «carcere duro». 
    Con decreto in data 21 aprile 2020, questo tribunale - in  virtu'
del  positivo  percorso  psicologico-educativo  compiuto   dal   D.S.
(iniziato a ... e proseguito presso la  Casa  circondariale  di  ...,
istituto di attuale detenzione) e dei paralleli percorsi seguiti  dai
figli minorenni (presso il Consultorio familiare ... e con  l'ausilio
dell'associazione   ...)   -   autorizzava,    durante    l'emergenza
epidemiologica Covid 19, i colloqui visivi  (tramite  la  piattaforma
Skype) tra i minori e il padre detenuto. 
    Tale soluzione appariva funzionale al  preminente  interesse  dei
minori D.S. legati al padre da un sicuro rapporto  affettivo,  e,  in
particolare, per il benessere dell'adolescente C., la cui  condizione
psicofisica destava particolare preoccupazione. 
    Dalla relazione psicologica in atti emergeva, infatti,  la  grave
sofferenza del ragazzino (appena quattordicenne), recante  «segni  di
trauma dovuti alla separazione  dal  padre  e  tratti  di  rigidita',
collegati a difese  emotive,  con  la  conseguenza  che  il  medesimo
adolescente vive uno stato di lutto non completamente  elaborato  sia
per l'assenza del genitore che per le situazioni esistenziali che  si
trova a vivere». 
    Aggiungasi, a  conforto  della  superiore  proposizione,  che  il
medesimo  C.  risulta  affetto  da  un'importante  patologia  cronica
(diabete) che, durante l'emergenza  epidemiologica,  sconsigliava  (e
sconsiglia)  assolutamente  i  suoi  spostamenti,  oltretutto   molto
complessi per le restrizioni governative in atto. 
    Il  complesso  delle  condizioni   riassunte   rendeva   pertanto
necessario - per il  benessere  psico-fisico  dei  minorenni  D.S.  -
favorire i colloqui  audiovisivi  richiesti  tramite  la  piattaforma
Skype o altra analoga per i mesi di  maggio,  giugno  e  luglio  2020
(ovvero per tutto il periodo emergenziale), per la  durata  stabilita
dalla Direzione della Casa circondariale di secondo le norme vigenti,
salvaguardando le esigenze di sicurezza connesse alla condizione  del
detenuto e quelle di salute relative ai minorenni. 
    Parimenti, questo tribunale richiedeva al  Direttore  della  Casa
circondariale di ... di predisporre tuti i dispositivi necessari  per
aiutare il D.S. a trovare le modalita' di relazione piu' adeguate per
stemperare la sofferenza dei figli e a progettare insieme a  loro  un
futuro libero dai condizionamenti della (sub)  cultura  mafiosa,  che
evidentemente non appare consigliabile si snodi a ...  territorio  in
cui la famiglia D.S, e' etichettata  giuridicamente,  riconosciuta  e
percepita da larghi strati della popolazione come mafiosa. 
    Ancora, questo giudice segnalava  di  avere  ricevuto  il  parere
favorevole del Procuratore della Repubblica presso  il  tribunale  di
... e suggeriva di  organizzare  i  contatti  audiovisivi  presso  la
Questura di ..., con tutte le cautele necessarie a  salvaguardare  la
salute dei minorenni. 
    Cio' stabilito, questo tribunale ribadiva il  co-affidamento  dei
medesimi D.S. C.M. e R.P.  al  Servizio  sociale  territoriale  e  al
Consultorio familiare competente per  territorio  per  la  necessaria
attivita' di  assistenza,  vigilanza  e  sostegno  psicologico  sopra
delineata e il loro inserimento nel progetto ... (in quanto figli  di
soggetto condannato per i reati  di  cui  all'art.  51,  comma  3-bis
c.p.p.), nella versione rinnovata di cui  al  protocollo  siglato  in
data 5 novembre 2019  (1)  .  Precisava  ancora  che  gli  interventi
previsti per migliorare le relazioni tra il D.S. e i  figli  dovevano
essere attuati, per la parte relativa al  D.S  ,  dallo  psicologo  e
dall'educatore  della  struttura  carceraria,  tenendo  conto   delle
statuizioni del decreto. 
    Il decreto in data 21 aprile 2020 non era tuttavia  eseguito  dal
Direttore della Casa circondariale di ... e  dal  Direttore  generale
dei detenuti e del Trattamento del  D.A.P.  che  dapprima  invitavano
questo giudice a rivedere le statuizioni al fine di  non  creare  una
disparita' di trattamento tra detenuti sottoposti al regime dell'art.
41-bis o.p. e poi ribadivano il diniego facendo leva sul sopravvenuto
decreto-legge 10 maggio 2020, n.  29,  che  all'art.  4  autorizza  i
colloqui a distanza soltanto per i detenuti in regime ordinario e non
per quelli - come il D.S. - sottoposti al regime  speciale  dell'art.
41-bis o.p. 
    Nel dettaglio, con nota (cod  ID  n.  0138251-0137692/AG)  del  7
maggio 2020, il DAP invitava questo giudice a rivedere il decreto del
21 aprile 2020 per evitare disparita' di trattamento tra  i  detenuti
al 41-bis o.p. 
    Con comunicazione dell'11 maggio 2020, a firma del Presidente del
Tribunale  per  i  minorenni  di  Reggio  Calabria,  si  chiariva  il
gravissimo pregiudizio che dalla mancata esecuzione del provvedimento
relativo ai colloqui audiovisivi ne poteva  derivare  soprattutto  al
minore D.S . C. evidenziando come  non  esistesse  alcun  divieto  di
legge  alle  videochiamate  sostitutive  di   colloquio   visivo   e,
nell'ottenuto  parere   favorevole   della   Direzione   distrettuale
antimafia di Reggio Calabria, prevaleva  l'interesse  del  minore  su
ogni altra prospettiva che il Tribunale avrebbe potuto esaminare. 
    A  tale  nota  seguiva,  infine,  ulteriore   comunicazione   del
direttore generale dei detenuti e del trattamento del DAP  (cod  ...)
del ... nella quale  si  ribadiva  l'impossibilita'  di  eseguire  il
provvedimento per l'inesistenza del diritto del detenuto al 41-bis di
avere colloqui audiovisivi a distanza, essendo lo specifico  tema  in
questione regolato dall'art. 41-bis,  comma  2-  quater,  lettera  b)
della legge n. 354/1975 e non dall'art. 18 della legge  n.  354/1975,
cosi' come richiamato dall'art. 4 del decreto-legge 10  maggio  2020,
n. 29, che si applica soltanto ai detenuti ordinari. 
    A seguito della riassunta interlocuzione,  il  Procuratore  della
Repubblica presso il tribunale per i minorenni di ... richiedeva  (v.
articolata memoria in atti), previa conferma del decreto in  data  21
aprile 2020, di sollevare la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 4 del decreto-legge 10 maggio 2020, n.  29  per  violazione
degli articoli 2, 3, 30, 31, comma secondo, 32, 10 e 117 Cost.  nella
parte in  cui  essa  non  prevede  la  possibilita'  del  giudice  di
autorizzare, sino al 30 giugno  2020,  colloqui  a  distanza  tra  il
detenuto in regime speciale ex art.  41-bis  o.p.  e  ciascun  figlio
minorenne, negli stessi termini e condizioni applicabili ai  colloqui
a distanza tra il detenuto  in  regime  ordinario  e  ciascun  figlio
minorenne, nel caso cui non militi in senso contrario una  prevalente
esigenza di sicurezza. 
    Nel  contempo,  chiedeva   a   questo   giudice   «di   concedere
contestualmente (in via immediata, provvisoria, lato sensu  cautelare
e urgente) i colloqui a distanza  di  cui  trattasi  (in  termini  da
prevedere - almeno - sino alla data del  30  giugno  2020)  -  previa
delibazione della questione  di  legittimita'  dianzi  prospettata  e
disapplicazione  delle  statuizioni  della  circolare  del   DAP   n.
101903/AG del  27  marzo  2020,  ove  ritenute  rilevanti  (in  senso
potenzialmente ostativo) ai fini della  conferma  delle  disposizioni
gia' emesse de  potestate,  ...  e  della  norma  di  legge  presunta
illegittima  -  e  subordinando  la  conferma  della   detta   misura
interinale alla declaratoria di incostituzionalita' sopraggiunta» . 
    Analoga questione di legittimita' costituzionale  sollecitava  il
curatore  speciale-difensore  dei  minorenni  D.S.  ,  che  segnalava
altresi' la competenza del tribunale per i minorenni, nell'ambito del
procedimento camerale de potestate, anche per la fase  esecutiva  del
provvedimento adottato in data 21 aprile 2020, i cui effetti  non  si
erano esauriti  avendo  il  tribunale  delegato  un  giudice  per  il
monitoraggio della fase attuativa. 
    Ancora, sul punto della rilevanza della  questione,  il  predetto
curatore speciale segnalava  come  «,  allo  stato,  sia  oggetto  di
valutazione da parte del tribunale un ricorso del pubblico  ministero
in  corso  di  causa.  Esso  tende  ad  ottenere  la   modifica   del
provvedimento vigente, tenuto conto degli  interventi  del  DAP,  sul
presupposto che, effettivamente, la legislazione  vigente  possa  non
corrispondere alla lettura originariamente  data  dal  tribunale.  In
alternativa  il  medesimo   pubblico   ministero   propone   che   il
provvedimento esistente vada modificato con attribuzione  al  giudice
civile della piena potestas judicandi sulla  questione  del  rapporto
padre-figli, all'interno del procedimento di VG in atto.  Nell'ambito
di detta operativita', conseguentemente, il  decidere  del  Tribunale
per i minorenni incidera' su diritti soggettivi, cosi'  giustificando
la  disapplicazione  del  provvedimento   amministrativo   con   esso
confliggente, la cui illegittimita' deriverebbe dall'essere  entrambe
le posizioni giuridiche attive del minore e del genitore  coperte  da
tutela di rango costituzionale». 
    Quanto  alla  competenza  ad  intervenire  del  tribunale  per  i
minorenni nella vicenda de qua e alla questione della disapplicazione
della  circolare  amministrativa  del  D.A.P.,  secondo  il  predetto
curatore speciale «nella sfera di competenza del giudice minorile  vi
e'  certamente  la  possibilita'  di  disporre  e   di   prescrivere,
ovviamente avendo a stella polare l'interesse del  minore,  anche  la
compressione  di  diritti  e/o  di   facolta'   connesse   al   munus
genitoriale. E' proprio questa connessione che consente l'ingresso in
questa sede della tesi della piena potestas decidendi  del  tribunale
adito sulla questione dei rapporti padre-figlio,  con  previsione  di
attribuzione di deleghe esecutive agli organi dello  Stato,  chiamati
ad eseguire il suo pronunciamento con la  medesima  forza  di  quelli
previsti dall'art. 474 codice di procedura civile. A detto novero  di
organi comandati di eseguire non potra' quindi sottrarsi il direttore
della casa circondariale che e' preposto ex lege, come  sopra  visto,
all'attuazione  dei  colloqui  e  dei  contatti   telefonici   e   di
conseguenza audiovisivi tra i detenuti e il mondo esterno. In  questo
senso, l'eventuale pronunciamento amministrativo che - come nel  caso
odierno fa il DAP - dovesse interferire con la sequenza esecutiva  de
quo puo', pertanto, essere oggetto di disapplicazione». 
    Cosi' ricostruita la vicenda  processuale,  deve  osservarsi  che
l'emergenza sanitaria dettata dal propagarsi del  contagio  epidemico
da Sars-Cov-2  sul  territorio  nazionale  ha  determinato  un'immane
esigenza di adattamento di tutti i settori dello Stato. 
    Pure il sistema giustizia ha dovuto plasmarsi in  relazione  alle
mutate necessita' di  limitazione  del  contagio  virale  su  diversi
fronti. In questo contesto  si  innesta  la  questione  attinente  ai
colloqui dei minorenni con genitori  detenuti  in  regime  di  41-bis
o.p., che risulta di particolare interesse giuridico,  implicando  il
coinvolgimento e l'interazione, sinora inesplorata, di  giurisdizioni
diverse, di norme sovranazionali e  nazionali,  norme  a  tutela  dei
minori e della genitorialita', norme che garantiscono  la  stabilita'
della sanzione penale e allo stesso tempo la protezione  dei  diritti
fondamentali. 
Il quadro normativo di riferimento: le norme nazionali. 
    Oltre alle norme  sovranazionali  direttamente  o  indirettamente
applicabili che di seguito si esamineranno, le  norme  costituzionali
offrono un ampio ventaglio  di  garanzie  per  i  minorenni,  per  la
genitorialita' e per i detenuti. 
    Agganci generici di tutela sono gli  articoli  2  e  3  Cost.  in
merito alla protezione  della  dignita'  umana,  l'uguaglianza  ed  i
diritti fondamentali che interessano l'uomo in quanto tale. 
    Gli articoli 29, 30, 31 della Costituzione realizzano  il  fulcro
della tutela della famiglia come nucleo fondamentale della  societa',
fissano  i  principi  generali   relativi   alla   genitorialita'   e
riconoscono i diritti dei minorenni. In particolare, i diritti/doveri
di istruzione e di educazione dei quali anche lo  Stato  deve  essere
pronto a farsi carico. 
    Tuttavia, il  riconoscimento  dei  legami  affettivi  non  sempre
risulta essere preso in  diretta  considerazione  dalla  legislazione
nazionale;  spesso  queste  relazioni  non  risultano   espressamente
regolate  dal  diritto  positivo  sebbene  vengano  alla  luce   come
posizioni giuridiche meritevoli di tutela, perche' costituzionalmente
garantite, in rapporto  a  discipline  che  hanno  ad  oggetto  altri
settori dell'ordinamento. 
    E' il caso dell'ordinamento penitenziario. 
    Le conseguenze dell'applicazione delle  norme  sulla  restrizione
della liberta' personale a seguito della pronuncia giurisdizionale di
condanna si riversano  su  posizioni  giuridiche  di  pari  interesse
costituzionale. L'esigenza di «punizione» statale  costituzionalmente
prevista invade certamente la sfera  dei  rapporti  affettivi,  anche
essi garantiti da norme di assoluto rilievo costituzionale. 
    Piu'  volte  la  giurisprudenza  si  e'  occupata  del   rapporto
genitoriale in caso di detenzione ed in virtu' del  disposto  di  cui
all'art.  31  Cost.,  potendo  la  «formazione  del  bambino   essere
gravemente pregiudicata dall'assenza di una figura  genitoriale»,  ha
attribuito preminenza all'interesse del minore a crescere a  contatto
con la madre (e con  il  padre,  in  via  residuale),  rispetto  alle
esigenze punitive dello Stato. (2) . 
    Ed   infatti,   in    diverse    disposizioni    dell'ordinamento
penitenziario, e del relativo regolamento di esecuzione, la rilevanza
dei legami familiari e' elemento indispensabile nel concreto attuarsi
della carcerazione, soprattutto al fine di  salvaguardare  il  minore
dai  danni  che  la  detenzione  del  genitore  puo'   innegabilmente
provocare. 
    Due sono gli istituti che  maggiormente  rilevano  dal  punto  di
vista della tutela dei  (diritti  umani  dell'individuo  detenuto  in
rapporto ai suoi legami familiari: da un lato,  i  permessi  previsti
dall'art. 30 o.p. e dall'altro, i colloqui. 
    La disciplina generale  dei  colloqui  concessi  al  detenuto  e'
dettata, principalmente, dagli articoli 18 della  legge  n.  354  del
1975 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000,
n. 230. In essi si riconosce il diritto del recluso allo  svolgimento
di colloqui sia con i propri  familiari,  previa  autorizzazione  del
direttore  dell'istituto  penitenziario  sia   -   in   presenza   di
ragionevoli motivi -  anche  con  persone  diverse  dai  congiunti  e
conviventi (art. 37, 1°  comma).  Particolare  favore,  comunque,  e'
accordato  ai  colloqui  con  i  familiari  (art.  18,   3°   comma),
soprattutto al fine di preservare,  per  quanto  compatibile  con  la
condizione carceraria, «il mantenimento di un valido rapporto  con  i
figli, specie in eta' minore» (3) . 
    Se  si  sposta  l'attenzione  sul  versante  della  pericolosita'
sociale e si considera quindi  l'art.  41-bis,  comma  2  o.p.,  che,
parallelamente  all'  art.  4-bis  o.p.,  e'  stato  introdotto   con
obiettivi  di  neutralizzazione  dei   detenuti   appartenenti   alla
criminalita' organizzata, il discorso e' evidentemente piu' delicato. 
    Le statuizioni relativi ai colloqui subiscono  un  restringimento
per i detenuti sottoposti al regime speciale di cui  all'art.  41-bis
o.p. (legge n. 354 del 1975), comma 2-quater, lettera b), che prevede
per i detenuti  sottoposti  al  regime  di  «carcere  duro»  un  solo
colloquio al mese con i familiari e i  conviventi,  da  svolgersi  ad
intervalli di tempo regolari e con  modalita'  di  sicurezza  (locali
attrezzati ad impedire  il  passaggio  di  oggetti,  registrazione  e
controllo auditivo). L'ammissione al colloquio di persone diverse  da
familiari  e  conviventi,  per  i  detenuti  sottoposti   al   regime
carcerario speciale previsto dall'art. 41-bis  o.p.,  e'  subordinata
alla presenza di «casi eccezionali, determinati, volta per volta, dal
direttore dell'istituto». 
    Dall'esame della normativa relativa al  regime  speciale  di  cui
all'art. 41-bis o.p., e' agevole intuire come  le  conseguenze  della
restrizione in carcere non si riversino esclusivamente sul  detenuto,
ma colpiscano indirettamente anche i familiari: si coglie al riguardo
la  c.d.  portata  bilaterale  della  pena,  che  colpisce  in   modo
emblematico i figli  minori  del  detenuto  lesi,  senza  colpa,  nel
diritto di crescere accanto ai propri genitori e in un  ambiente  che
ne favorisca il sano sviluppo psicofisico, come rilevato dalla  Corte
costituzionale in diverse pronunce. 
    Cio' premesso, non ci  si  puo'  esimere  dal  segnalare  che  la
garanzia di tutela  di  soggetti  «fragili»  dell'ordinamento  e'  un
compito irrinunciabile  per  ogni  potere  dello  Stato.  Le  singole
istituzioni si devono fare carico di supportare i singoli ancor  piu'
se minori, offrendo la piu'  ampia  protezione  possibile  attraverso
strumenti di natura amministrativa e giurisdizionale. 
    Per consentire  l'adeguata  cura  del  preminente  interesse  dei
minorenni figli di detenuti (v. art. 3 della Convenzione di New  York
del 20 novembre 1989, ratificata  dall'Italia  con  legge  27  maggio
1991, n. 176) e' fondamentale il coordinamento istituzionale  ed  una
legislazione ampia  e  puntuale  sugli  aspetti  della  vita  che  li
coinvolgono direttamente e indirettamente, facendosi anche carico del
loro benessere psicofisico (art. 32  Cost.)  ove  non  realizzato  in
ambito familiare. 
    L'equilibrio tra la lotta alla criminalita' organizzata,  ove  il
41-bis  o.p.  assurge  ad  emblema,  e  la  tutela  degli   interessi
preminenti dei minori, comporta una seria riflessione  che  non  puo'
prescindere dalle valutazioni bilanciate del caso concreto, come piu'
volte ha stabilito la  Corte  costituzionale  pur  in  riferimento  a
fattispecie diverse. 
    A supporto di tale assunto si segnala  la  sentenza  12  febbraio
2012,  n.  31  della   Corte   costituzionale   che   ha   dichiarato
l'incostituzionalita' dell'art. 569 codice penale, nella parte in cui
stabilisce che, in caso di condanna pronunciata  contro  il  genitore
per il delitto di alterazione di stato, previsto dall'art. 567, comma
2,  codice   penale,   consegua   di   diritto   la   perdita   della
responsabilita'  genitoriale,  cosi  precludendo  al   giudice   ogni
possibilita'  di  valutazione  dell'interesse  del  minore  nel  caso
concreto. 
    Un    bilanciamento    ricercato    anche    dall'Amministrazione
penitenziaria con la circolare n. 3676/616  del  2  ottobre  2017  in
materia di organizzazione del  circuito  detentivo  speciale  di  cui
all'art. 41-bis  o.p.  a  cui  si  affianca  un  allegato  contenente
specifiche misure applicative detto «Modello 72», che tiene conto  di
una serie di  aspetti  di  vita  quotidiana  dei  soggetti  posti  in
isolamento al fine di rendere l'esecuzione della pena sempre conforme
al  rispetto  dei  diritti  umani  costituzionalmente  (e  non  solo)
garantiti. 
Il  quadro  normativo  di  riferimento:  la  disciplina  emergenziale
sull'ordinamento penitenziario. 
    L'improvviso impatto del virus Sars Cov-2 nel  nostro  territorio
ha imposto l'emanazione  di  una  serie  di  norme  emergenziali  per
disciplinare in via d'urgenza tutti i settori  dell'ordinamento,  tra
questi anche quello giudiziario e penitenziario. Per  quanto  qui  di
interesse, il decreto-legge 10 maggio 2020,  n.  29  prevede  «Misure
urgenti  in  materia  di  detenzione   domiciliare   o   differimento
dell'esecuzione della pena, nonche' in materia di sostituzione  della
custodia  cautelare  in  carcere  con   la   misura   degli   arresti
domiciliari, per motivi connessi all'emergenza sanitaria da COVID-19,
di  persone  detenute  o  internate  per  delitti   di   criminalita'
organizzata di tipo mafioso, terroristico e mafioso, o per delitti di
associazione a delinquere legati al traffico di sostanze stupefacenti
o per delitti commessi avvalendosi delle  condizioni  o  al  fine  di
agevolare l'associazione mafiosa, nonche'  di  detenuti  e  internati
sottoposti al regime previsto dall'art. 41-bis della legge 26  luglio
1975, n. 354, nonche', infine, in materia di colloqui con i congiunti
o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli  internati  e
gli imputati.» 
    Quanto  agli  istituiti  penitenziari,  l'art.  4   del   decreto
emergenziale dispone:  «Al  fine  di  consentire  il  rispetto  delle
condizioni  igienico-sanitarie  idonee  a  prevenire  il  rischio  di
diffusione del COVID-19, negli istituti penitenziari e negli istituti
penali per minorenni, a decorrere dal 19 maggio 2020 e sino alla data
del 30 giugno 2020, i colloqui con i congiunti o  con  altre  persone
cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati a  norma
degli articoli 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, 37 del  decreto
del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000,  n.  230,  e  19  del
decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, possono essere  svolti  a
distanza, mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti  di
cui dispone l'amministrazione penitenziaria  e  minorile  o  mediante
corrispondenza telefonica, che puo' essere autorizzata oltre i limiti
di cui all'art. 39, comma 2,  del  predetto  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 230 del 2000 e all'art. 19, comma 1, del  decreto
legislativo n. 121 del 2018. Il direttore dell'istituto penitenziario
e dell'istituto penale per minorenni,  sentiti,  rispettivamente,  il
provveditore  regionale  dell'amministrazione  penitenziaria   e   il
dirigente del centro per la giustizia minorile,  nonche'  l'autorita'
sanitaria regionale in persona  del  Presidente  della  Giunta  della
Regione stabilisce,  nei  limiti  di  legge,  il  numero  massimo  di
colloqui da svolgere con modalita' in presenza, fermo il diritto  dei
condannati, internati e imputati ad almeno un colloquio  al  mese  in
presenza di almeno un congiunto o altra persona». 
    Dunque, appare evidente che  nella  necessita'  di  garantire  il
diritto al mantenimento delle relazioni affettive sia stato  ampliato
il novero dei contatti telefonici o audiovisivi nella  consapevolezza
del rischio di contagio determinato dall'ingresso di soggetti esterni
dentro le strutture penitenziarie. 
    La ratio  della  norma  ha  un  chiaro  fondamento  nell'esigenza
sanitaria,  il  legislatore  ha  dunque  voluto  adattare  le   norme
dell'ordinamento penitenziario alle mutate circostanze della  realta'
sociale, nel rispetto delle indicazioni mediche sul contenimento  del
contagio virale. 
    Il  limite  agli  spostamenti  non  puo'  dunque  comportare   un
ulteriore restringimento delle  liberta'  concesse  ai  detenuti,  le
stesse possono ben realizzarsi - con modalita' diverse - nel rispetto
delle norme di sicurezza. 
    E' tuttavia da ritenere che la disposizione de qua, nel  rinviare
esclusivamente agli articoli 18 legge 26 luglio 1975,  n.  354  e  37
decreto del Presidente della  Repubblica  30  giugno  2000,  n.  230,
quanto alla determinazione del suo ambito e delle  sue  modalita'  di
applicazione, sia riferibile solo al regime ordinario di detenzione e
non a quello speciale ex art. 41-bis o.p.. Pertanto,  tale  combinato
disposto  legislativo  va  interpretato   (in   senso   letterale   e
dichiarativo) in tal senso,  cosi'  come  del  resto  effettuato  dal
Direttore generale dei detenuti e del trattamento del DAP con missiva
inviata 18 maggio 2020 a questo tribunale. 
I provvedimenti  di  attuazione  dei  decreti  emanati  in  relazione
all'emergenza Covid: le circolari. 
    La circolare 101903/AG del 27 marzo 2020 avente  ad  oggetto  «la
concessione di un  ulteriore  colloquio  telefonico,  in  aggiunta  a
quello sostitutivo spettante, per i  detenuti  sottoposti  al  regime
speciale di cui all'art. 41-bis, comma 2 o.p.» reca  l'organizzazione
per la realizzazione  di  un  colloquio  aggiuntivo  da  tenersi  con
modalita' telefonica in alternativa al colloquio visivo mensile a cui
hanno diritto - per il tempo dell'emergenza Covid  19  -  i  detenuti
ristretti in regime  di  isolamento.  I  colloqui  che  si  ritengono
necessari in ragione dell'impossibilita' di spostamento delle persone
sul territorio per effetto della legislazione «anticontagio»  possono
dunque essere svolti in modo alternativo e con  particolari  cautele:
la chiamata  dovra'  partire  dall'istituto  penitenziario  verso  la
caserma  dei  carabinieri  del  comune  piu'  vicino  ai  destinatari
(familiari), luogo in cui gli stessi si recheranno in modo  da  poter
essere identificati ed al fine di  registrare  la  conversazione.  La
sorveglianza risulta, pertanto, essere perfettamente attuata. 
    Ancora, secondo quanto previsto dalla circolare,  i  familiari  -
muniti di  dispositivi  di  protezione  individuale  -  che  potranno
recarsi presso la caserma per il colloquio, non dovranno essere  piu'
di due, con esclusione della presenza al colloquio dei minori. 
    La circolare dunque - a differenza della successiva  disposizione
legislativa di cui all'art. 4 decreto-legge 29 del 2020 - non prevede
neppure per i detenuti ordinari collegamenti a distanza  diversi  dal
contatto telefonico ed esclude i minorenni. 
    Un'esclusione non presente nelle  precedenti  circolari,  sia  in
quelle «pre-covid» che in quelle emesse successivamente. 
    In particolare, la circolare DAP del  21  marzo  2020  denominata
«colloqui familiari», valorizzando  l'impossibilita'  di  spostamento
sul territorio nazionale dei familiari dei  detenuti,  ha  consentito
colloqui telefonici, audiovisivi, bonifici on line, aumenti di  spesa
per i detenuti, in  modo  da  venire  incontro  alle  esigenze  delle
famiglie  e  dei  soggetti  ristretti  in   carcere,   senza   alcuna
limitazione in ordine ai minori,  come  osservato.  Ancor  prima,  la
valorizzazione dei sistemi informatici era stata oggetto di circolare
emessa in data 12 marzo 2020 per consentire l'utilizzo di piattaforme
on line e posta elettronica agli studenti-detenuti. 
    La circolare piu' recente del 12  maggio  2020  -  che  segue  il
decreto-legge n. 29/2020  -  consente  la  ripresa  dei  colloqui  in
presenza mediante la  predisposizione  delle  cautele  «anticontagio»
(dpi,  plexiglas,  distanziamento  fisico)  ove   possibile,   previa
valutazione dei rischi di spostamento; in  alternativa,  prevede  che
rimarranno ferme, le opportunita' di colloquio con  mezzi  telefonici
e, per i detenuti ordinari, anche informatici audiovisivi. 
    Anche  in  questa  circostanza,  l'Amministrazione  penitenziaria
nulla afferma circa la presenza dei minori nei colloqui a distanza. 
    La ratio dell'esigenza di esclusione dei colloqui a distanza  tra
i minorenni ed i genitori detenuti  al  41-bis  o.p.  ha  dunque  dei
contorni sfumati e sfuggenti. Inoltre, la distinzione  tra  minori  e
maggiorenni,   quanto   alle   relazioni    familiari    esplicantesi
nell'istituto  dei  colloqui,  non   viene   in   rilievo   ne'   nel
decreto-legge n. 29/2020 ne' nelle altre circolari che  involgono  il
sistema penitenziario. 
    Verificati gli ostacoli nel dare tutela al segnalato diritto  dei
minorenni D.S. il presente provvedimento ha come obiettivo quello  di
identificare i rimedi esperibili per rimuovere  questa  irragionevole
disparita' di trattamento. 
    Si tratta, in particolare, di verificare la rispondenza di  tutti
gli  atti  di  normazione  primaria  o  amministrativi  ai  superiori
interessi del minore  espressi  tanto  a  livello  nazionale,  quanto
nell'ordinamento sovranazionale. 
 
                      Rilevanza della questione 
 
    Cio' premesso, occorre verificare la rilevanza  e  non  manifesta
infondatezza della questione proposta. 
    Il vaglio di rilevanza  della  questione  attiene  alla  verifica
dell'impossibilita', per il Giudice  a  quo,  di  risolvere  il  caso
pratico  sottoposto  alla  sua  attenzione,  indipendentemente  dalla
risoluzione della questione stessa. 
    Ebbene, nel caso che occupa, il  tribunale  per  i  minorenni  di
Reggio Calabria  dovrebbe  applicare  quello  specifico  articolo  di
legislazione  primaria  (art.  4,  decreto-legge  n.   29/2020)   per
rigettare l'istanza del detenuto che ha chiesto  di  poter  vedere  i
figli minorenni con sistemi telematici o audiovisivi.  L'applicazione
di tale norma ai fini del rigetto rende rilevante  la  questione,  in
quanto si  tratterebbe  di  applicare  una  norma  che  si  asserisce
incostituzionale. Cio'  premesso,  ne  consegue  la  rilevanza  della
questione nel presente giudizio, in quanto l'applicazione della norma
precluderebbe la valutazione del merito dell'istanza del detenuto  e,
nel contempo, non consentirebbe al decreto emesso in data  21  aprile
2020 da questo tribunale, tuttora valido in quanto non revocato e  di
cui in questa sede si  ribadiscono  le  disposizioni  nel  preminente
interesse dei minorenni D.S. , di potere dispiegare la sua  efficacia
per un rilevante lasso di tempo. 
    Sebbene la norma  dell'ordinamento  penitenziario  sia  destinata
prevalentemente  a  disciplinare  il  rapporto  del  detenuto  con  i
familiari, non vi e' dubbio che la stessa ha contestualmente  dirette
ripercussioni sul diritto dei minorenni D.S. ad intrattenere rapporti
con  il  padre  detenuto,  prospettiva  -  preclusa,  o  meglio   non
considerata,  dalla  normativa  emergenziale  -  che   principalmente
interessa questa autorita' giudiziaria. 
    Sotto altra direttrice, la rilevanza della questione emerge anche
dal contenuto dei provvedimenti  emessi  da  questo  tribunale  nella
vicenda che occupa, concernenti il percorso rieducativo del  detenuto
D.S. al fine del recupero/sostegno delle sue  competenze  genitoriali
in funzione del preminente interesse dei figli minorenni. 
    Come anticipato, questo tribunale ha richiesto al  detenuto  D.S.
di intraprendere  un  percorso  psicologico  e  di  sostegno  per  un
corretto approccio educativo con i figli minorenni, sofferenti per la
mancanza del padre dalla loro vita quotidiana. 
    Orbene, l'interruzione per lunghi mesi dei contatti e, in specie,
l'impossibilita' di accedere a colloqui telefonici (sin dal  mese  di
febbraio 2020) e a contatti visivi (sin dal mese  di  dicembre  2019)
durante l'emergenza epidemiologica Covid  19  e'  una  situazione  di
fatto che', ritardando l'esecuzione  delle  statuizioni  dei  decreti
emessi da questo  tribunale,  incide  sulla  prospettiva  rieducativa
prevista in favore del detenuto e, dall'altro,  determina  una  grave
compromissione  del  diritto  fondamentale  dei  figli  minorenni  ad
intrattenere - senza soluzione di continuita'  e  a  maggior  ragione
durante la difficile situazione emergenziale - rassicuranti  contatti
anche visivi con il padre. 
    In altri termini, deve segnalarsi che la  normativa  emergenziale
sopravvenuta e il correlato  rifiuto  ad  ottemperare  da  parte  del
D.A.P. hanno determinato la sostanziale inefficacia del provvedimento
emesso in data 21 aprile 2020, le cui statuizioni in questa  sede  si
ribadiscono - senza ulteriori condizioni - nel  preminente  interesse
dei minorenni D.S. 
    Va ancora  evidenziato  che  la  norma  derivante  dal  combinato
disposto dell'art. 4 del decreto-legge  n.  29/2020  e  dell'art.  18
o.p., che vieta i colloqui audiovisivi a distanza del  figlio  minore
con il genitore «detenuto in regime speciale, e' una norma  giuridica
primaria di  relazione  che  incide  non  solo  sulla  posizione  del
detenuto  (e   il   cui   diniego   da   parte   dell'amministrazione
penitenziaria puo'  essere  dedotto  con  i  rimedi  dell'ordinamento
penitenziario, innanzi la magistratura di sorveglianza), ma anche  (e
innanzitutto)  sulla  posizione  del  minore  (i  cui  diritti   sono
deducibili innanzi la magistratura minorile). 
    La bilateralita' della relazione giuridica tra  figlio  minore  e
detenuto pone pertanto la preliminare questione della  legittimazione
di questo Tribunale  per  i  minorenni  a  sollevare  il  quesito  di
costituzionalita' della norma di relazione dianzi indicata. 
    Nel dettaglio, la  (giurisdizione  e  la)  competenza  di  questo
Tribunale per i minorenni nel caso che occupa e la sua conseguenziale
legittimazione   a   sollevare   la   questione    di    legittimita'
costituzionale incidentale della norma de  qua  sono,  ad  avviso  di
questo giudice, da riconoscersi  per  i  motivi  che  di  seguito  si
esplicitano. 
    Innanzitutto, nel rapporto giuridico  genitore/figlio  minorenne,
la  posizione  preminente  (anche  se  non  assoluta)  -  cosi'  come
stabilito dall'art. 3 della Convenzione di New York del  20  novembre
1989 - e'  quella  di  diritto  soggettivo  del  minore  a  mantenere
rapporti affettivi e a ricevere dal genitore - anche  se  detenuto  -
un'educazione coerente ai valori costituzionali, fattori tutti idonei
a consentire al minorenne un adeguato sviluppo della sua personalita'
(diritto inviolabile di rango costituzionale  che  connota  i  valori
della persona umana). 
    In altri termini, il rapporto giuridico tra  minore  e  genitore,
non  e'  paritario  stricto  sensu,  in  quanto  non  si  tratta   di
riconoscere diritti e/o obblighi reciproci, ovvero la compresenza  di
situazioni giuridiche reciproche di vantaggio frontistanti  e  dotate
di  pari  rango  ed  altezza   assiologica.   Infatti,   secondo   il
condivisibile assunto del pubblico ministero «il fascio collegato  di
posizioni giuridiche che connota il rapporto  giuridico  genitoriale,
in cui si situa il diritto soggettivo inviolabile dei figli minorenni
a mantenere  rapporti  affettivi  con  il  proprio  genitore,  appare
"sbilanciato"  in  favore  del  minore,  titolare   della   posizione
giuridiche preminente e prevalente, anche nei confronti  del  diritto
(nella specie ai colloqui, in modalita' a distanza) vantato da  parte
del genitore». 
    Tale  preminenza  assiologica   comporta   l'affermazione   della
sussistenza della giurisdizione e della competenza del giudice civile
minorile, quale  giudice  naturale  de  potestate  (art.  25  Cost.).
Competenza  del  giudice  minorile  che,  nel  caso  che  occupa,  e'
rafforzata dalla circostanza che non risulta pendente un  contestuale
procedimento di sorveglianza e dall'ulteriore rilievo che l'interesse
pubblico  (primario   dal   punto   di   vista   dell'Amministrazione
penitenziaria) alla sicurezza nella gestione del detenuto  in  regime
speciale  e'  garantita  dal  parere  espresso  dalla  Procura  della
Repubblica presso il tribunale di ... che non ha  segnalato  esigenze
di sicurezza ostative alla  concessione  di  colloqui  audiovisivi  a
distanza nel caso in esame. 
    Aggiungasi, a conforto della superiore proposizione, che distinte
sono le azioni esercitabili innanzi il giudice minorile e il  giudice
di sorveglianza. Si  puo'  ritenere,  infatti,  che  tra  la  materia
devoluta  alla  cognizione  del  giudice  di  sorveglianza  e  quella
devoluta  alla  competenza  del  giudice  civile  minorile,  vi   sia
coincidenza dei  soli  seguenti  elementi  essenziali:  personae  (il
genitore detenuto e il figlio minore), petitum mediato (il  colloquio
a distanza, per la realizzazione del diritto ai rapporti  affettivi),
causa  petendi  passiva  (dal  punto  di  vista   e   nei   confronti
dell'Amministrazione penitenziaria, nella sua posizione di  esecutore
del dictum della legge, cosi come interpretato dal giudice). 
    Diversi  sono  invece  il   petitum   immediato   (la   pronuncia
giurisdizionale di autorizzazione ai colloqui a distanza tra  le  due
personae anzidette da parte del giudice minorile civile; la pronuncia
di annullamento di eventuale diniego amministrativo penitenziario  da
parte del magistrato di sorveglianza in sede di reclamo) e  la  causa
petendi attiva (essendo distinta e prevalente la posizione  giuridica
del figlio minorenne rispetto a quella del genitore detenuto). 
    Cio' stabilito, dato atto che nel caso in esame  non  risulta  in
atti la previa proposizione di un ricorso innanzi  il  magistrato  di
sorveglianza da parte del genitore del detenuto di fronte al  diniego
di consentire i colloqui da parte dell'amministrazione penitenziaria,
non si puo' negare la competenza di questo Tribunale per i  minorenni
e, di conseguenza, la sua legittimazione a sollevare la questione  di
legittimita' costituzionale. Invero, laddove il legislatore ha inteso
ripartire la  competenza  in  materia  di  diritti  del  minore  alla
genitorialita'  (anche  affettiva)  secondo   un   diverso   criterio
specifico, esso e' intervenuto espressamente con norme  di  legge  ad
hoc, per es. come nel caso dell'art. 38 disp. att. del codice civile,
che  regolamenta  con  un  criterio  speciale  la   ripartizione   di
competenza funzionale tra il giudice civile  minorile  e  il  giudice
civile competente su un giudizio pendente avente ad oggetto anche  lo
status coniugalis. Ne consegue che l'eventuale concorso di competenza
da  parte  del  giudice  ordinario  minorile  e  del  magistrato   di
sorveglianza, in difetto di  esplicita  o  di  implicita  regolazione
legislativa, non puo' essere risolto nel senso  dell'esclusivita'  di
una di esse. 
    In altri termini, non si puo' ritenere che sussista in materia di
rapporti affettivi tra un figlio minorenne  e  un  genitore  detenuto
un'implicita preferenza legislativa per l'autorita' amministrativa  o
per la competenza del giudice di sorveglianza o ordinario, capace  di
attrarre per connessione anche la cognizione sulla posizione  (invero
preminente sub specie juris) del minore, in quanto  cio'  apparirebbe
contrario alla logica  stessa  della  specializzazione  (anche  nella
composizione mista dei collegi) e delle funzioni  della  magistratura
minorile. 
    Ritenere   che   una   simile   competenza   specializzata    sia
(implicitamente) recessivi di fronte alla  competenza  del  direttore
dell'istituto penitenziario o del giudice sorveglianza (relativa alla
posizione penitenziaria del detenuto)  costituirebbe  un  quid  juris
irragionevole, a sua volta da elevare a sospetto di incostituzionali)
sotto il profilo  della  violazione  delle  garanzie  giurisdizionali
della condizione del minore e della effettiva tutela in giudizio  del
suo diritto a mantenere i rapporti affettivi con il genitore mediante
il colloquio (a distanza). 
    Nel caso  che  occupa,  inoltre,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  delle  norme  richiamate  in  dispositivo  e'   stata
sollecitata  dal  pubblico  ministero   minorile   e   dal   curatore
speciale-difensore   dei   minorenni,   soggetti   processuali    non
contemplati dalle norme richiamate e portatori di autonomi e distinti
interessi, che vedrebbero irragionevolmente frustrate le loro istanze
volte alla  tutela  di  diritti  fondamentali,  nell'ipotesi  in  cui
dovesse prevalere  la  tesi  dell'esclusivita'  di  competenza  della
magistratura di sorveglianza o del giudice che procede. 
    In altri termini, una soluzione interpretativa diversa  -  ovvero
quella di riconoscere solo in capo alla magistratura di  sorveglianza
o a quella del giudice che procede sino alla sentenza di primo  grado
la competenza a promuovere la questione  di  costituzionalita'  della
norma de qua - appare irragionevole  significherebbe  subordinare  la
giurisdizione minorile a quella di sorveglianza od ordinaria, con  la
conseguenza  paradossale  di   paralizzare   -   con   determinazione
unilaterale e  fondata  su  aspetti  diversi  da  quelli  tipicamente
contemplati dalla giurisdizione minorile - gli  eventuali  interventi
giurisdizionali a tutela dei minorenni (nel caso, ad esempio, in  cui
il magistrato di sorveglianza o il diverso giudice  che  procede  non
ritenessero di proporre o ritenessero non rilevante o  manifestamente
infondata la questione di  legittimita'  costituzionale  della  norma
richiamata). 
    Aggiungasi, inoltre, che l'eventuale  (sopravvenuto)  diniego  ai
colloqui/collegamenti  a   distanza   del   direttore   dell'istituto
penitenziario, del magistrato di sorveglianza o  del  giudice  penale
che  procede  sino  alla  sentenza  di  primo  grado,  fondato  sulla
disposizione  di   cui   si   sospetta   l'incostituzionalita',   non
costituisce neppure - ad avviso di questa autorita' giudiziaria -  un
dato oggettivo idoneo per escludere la rilevanza della questione  nel
giudizio a quo. 
    Non vi e' dubbio che, nonostante il tribunale per i minorenni non
sia   un'autorita'   giudiziaria   contemplata   nella   disposizione
emergenziale in  oggetto  (cosi'  come  nell'art.  41-bis  o.p.),  la
risoluzione della questione di legittimita' costituzionale nel  senso
auspicato  (ovvero,  con  la  rimozione  del  divieto  dei   colloqui
audiovisivi  a  distanza)   consentirebbe   a   questo   giudice   di
interloquire istituzionalmente  (e  sinergicamente)  in  ordine  alla
necessita' dei contatti previsti  -  per  la  tutela  dell'integrita'
psicofisica  dei  minorenni  -  con  le  autorita'  amministrative  e
giudiziarie preposte ad autorizzarli dalla prospettiva del  detenuto,
ovvero con il direttore  dell'istituto  penitenziario  (nel  caso  si
tratti di condannato in via definitiva), con  l'eventuale  magistrato
di sorveglianza in  sede  di  reclamo  avverso  un  provvedimento  di
diniego di un'autorizzazione al colloquio o, nei  casi  residui,  con
l'autorita' giudiziaria che procede. 
    Riepilogando, non sembra superfluo segnalare che questo Tribunale
per i minorenni ha gia' emesso negli anni plurimi  provvedimenti  per
agevolare i colloqui tra il detenuto D.S. ed  i  figli  minorenni  e,
nella cornice sopra delineata, un decreto autorizzativo dei  colloqui
a distanza durante l'emergenza epidemiologica Covid 19 (v. decreto in
data 21 aprile 2020). 
    L'esecuzione  di  tale  provvedimento  e'  pero'  impedita  dalla
sopravvenienza dell'art. 4 del decreto-legge n. 29/2020, disposizione
che innova la  cornice  legislativa  di  riferimento  (essendo  stata
introdotta una norma di divieto, rilevante nel caso in esame, che  al
momento  dell'adozione  del  decreto  in  data  21  aprile  2020  non
sussisteva)  e  impedisce  di   ottenerne   l'attuazione   da   parte
dell'Amministrazione penitenziaria. Attuazione possibile solo con  la
declaratoria di incostituzionalita' della norma  di  legge  che  tale
divieto implicitamente pone (o almeno della modalita'  categorica  in
cui tale divieto e' irragionevolmente posto). 
    Cio' premesso, ne consegue che la competenza a pronunciarsi sulla
questione non potrebbe essere sottratta al tribunale per i minorenni,
autorita'  giudiziaria  che  aveva  gia'  conosciuto   del   caso   e
interpretato estensivamente la disposizione di  cui  all'art.  41-bis
o.p., senza «amputare» la competenza del giudice civile minorile, con
violazione cosi dei canoni di effettivita' e  pienezza  della  tutela
giurisdizionale  dei   minorenni   D.S.   e   delle   regole   (anche
costituzionali) del giusto processo (civile minorile). 
    Per  completezza  di  esposizione,   deve   segnalarsi   che   le
disposizioni del decreto in data  21  aprile  2020  devono  ritenersi
tuttora valide e funzionali al  preminente  interesse  dei  minorenni
D.S. 
    Non essendo normativamente prevista una «fase  esecutiva»  tipica
del procedimento minorile, il  Tribunale  per  i  minorenni  conosce,
quale unico modello  procedimentale  per  le  materie  di  volontaria
giurisdizione, quello  camerale  di  cognizione,  cui  e'  tenuto  ad
applicare i principi del giusto processo. 
    Questa considerazione porta la  necessaria  conseguenza  che  non
esista un diverso modello procedimentale successivo ai  provvedimenti
decisori del tribunale ma, unicamente, il necessario procedimento  di
accompagnamento e supporto,  sino  all'individuazione  a  tutela  del
minore di una soluzione idonea a  garantirgli  un  corretto  sviluppo
psico-fisico ed una corretta estrinsecazione della sua  personalita'.
A quanto sin qui detto, consegue l'importante effetto  di  consentire
che quegli istituti posti a presidio proprio  del  minore  mantengano
efficienza  ed  esistenza  durante   l'intero   arco   dell'attivita'
dispiegata dal tribunale. Pertanto, se per un verso il  collegio  del
Tribunale per i minorenni  delega  un  giudice  all'effettuazione  di
alcune attivita' (prassi pacificamente ammessa  in  giurisprudenza  e
dottrina  nei  procedimenti  camerali),   cio'   significa   che   il
procedimento prosegue attraverso detta attivita' delegata. 
    Sotto  questo  profilo,  pertanto,  l'intervento   del   pubblico
ministero va interpretato non gia' come ricorso per  la  «riapertura»
di un procedimento concluso, ma come piu' che apprezzabile intervento
a  tutela  degli  interessi  che  il  medesimo   procedimento   vuole
salvaguardare e, segnatamente, del diritto dei minori coinvolti  alla
stabilita' affettiva ed esistenziale alla quale, sia pur con tutte le
limitazioni del caso, il rapporto con il padre e' indispensabile. 
    Del resto, dalla lettura del decreto in data 21  aprile  2020  e'
agevole infierire che lo stesso si colloca in una cornice piu'  ampia
e datata di  interventi  a  tutela  dei  minorenni  D.S.  in  cui  la
previsione di colloqui con il genitore detenuto rappresenta  soltanto
una tappa del percorso previsto a loro tutela. 
    Quale logico corollario della superiore  proposizione,  ne  segue
che anche il  curatore  speciale  del  minore,  nella  sua  veste  di
difensore dello stesso, puo' intervenire - cosi' come e' avvenuto con
l'istanza riassunta -  portando  nel  procedimento  pendente  il  suo
contributo. 
    In altri termini, il curatore speciale  del  minore  (ovvero,  la
voce tecnica dello stesso nel processo), conserva  non  solo  la  sua
vitalita' ma anche la possibilita' di esplicare tutte le funzioni che
gli sono attribuite. 
    Qualora  residuassero  dubbi,  deve  segnalarsi  che  l'ulteriore
richiesta del pubblico ministero, che ha domandato la  revisione  del
provvedimento vigente nei termini sopra indicati (Cron. n.  305/2020)
e sollecitato il quesito di legittimita' costituzionale  della  norma
sopravvenuta, conferma l'attualita' (e la rilevanza) della questione. 
 
                     Non manifesta infondatezza 
 
    Per quanto attiene al profilo della non  manifesta  infondatezza,
il giudice a quo non e' chiamato a pronunciarsi  sulla  fondatezza  o
meno, esame che e' appunto rimesso alla sola Corte costituzionale, ma
deve semplicemente «respingere la questione quando palesemente, prima
facie, gli appaia priva di ogni fondamento giuridico» (4) . La  Corte
costituzionale ha poi  aggiunto  che  il  giudice  a  quo,  prima  di
rimettere    la    questione,    deve     preliminarmente     tentare
l'interpretazione conforme a Costituzione, che tuttavia nel caso  che
occupa non appare possibile, in quanto  tale  operazione  ermeneutica
comporterebbe  un'invasione  delle   prerogative   del   legislatore,
dovendosi estendere l'applicazione di una norma ad una  categoria  di
soggetti - ovvero, i detenuti al  regime  speciale  dell'art.  41-bis
o.p. - che la stessa implicitamente esclude. 
    In merito,  non  sembra  superfluo  segnalare  che  la  Corte  di
cassazione  in  diverse  occasioni  ha  escluso  la  possibilita'  di
un'interpretazione estensiva dell'art. 41-bis o.p.,  con  riferimento
ai colloqui audiovisivi a distanza, ritenendo (v., a  tal  proposito,
Cassazione I sezione penale n. 16557 del 2019) la necessita' che  sia
il legislatore a fornire le indicazioni vincolanti per i vari  ambiti
della vita penitenziaria. 
    Tale indirizzo e'  stato  tuttavia  sconfessato  da  una  diversa
lettura conforme del sistema  normativo  derivante  dall'art.  41-bis
o.p. operato dalla stessa Corte di cassazione (cfr. Cassazione Penale
sentenza n. 7654/2014, dep. 19.02.2015) che, chiamata  ad  esprimersi
in regime di colloqui fra padre e figlio entrambi detenuti e soggetti
al regime di cui al 41-bis o.p., premessa tutta la valutazione  della
questione del rapporto con gli atti amministrativi, ha stabilito  che
il testo  principale  di  riferimento  nella  materia  e'  costituito
dall'art. 28 o.p., il  quale  stabilisce  che  "particolare  cura  e'
dedicata a mantenere, migliorare,  o  ristabilire  le  relazioni  dei
detenuti e degli internati con le famiglie". 
    Secondo la Suprema Corte, "lo scopo perseguito da tale previsione
e' quello  di  impedire  che  l'abbandono  delle  abitudini  di  vita
individuale e familiare  acquisite  in  stato  di  liberta',  imposto
dall'espiazione della  pena  in  ambito  carcerario,  comprometta  il
mantenimento delle  relazioni  affettive  ed  i  sentimenti  verso  i
congiunti. Per tali  ragioni,  ai  sensi  dell'art.  1,  comma  6,  e
dell'art.  15  ordinanza  pera.,  i  colloqui   sono   inseriti   nel
trattamento di chi e' ristretto e assumono rilevanza  anche  ai  fini
dell'attivita' di recupero e rieducazione del condannato.  La  Corte,
quindi, ne deduce che «la disciplina  fortemente  limitativa  dettata
dall'art.  41-bis  applicabile  a  soggetti  dotati  di   particolare
pericolosita'  non  li  esclude  dai  colloqui,   ma   piuttosto   li
regolamenta  con  l'introduzione  di  limiti  numerici   e   con   la
possibilita'  di  adottare,  mediante  previsioni   della   normativa
attuativi di rango secondario,  modalita'  esecutive  di  particolare
rigore. L'art. 8 della  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo
prescrive che "ogni persona ha diritto al  rispetto  della  sua  vita
privata e familiare...", sicche' eventuali  ingerenze  dell'autorita'
pubblica nell'esercizio di tale diritto sono coperte  da  riserva  di
legge  e  devono  essere  giustificate  da  esigenze   di   sicurezza
nazionale, pubblica sicurezza, difesa dell'ordine e  prevenzione  dei
reati, protezione della salute o della morale, dei  diritti  e  delle
liberta'  altrui.  In  particolare,  la  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo ha avuto modo di occuparsi piu' volte della  compatibilita'
delle disposizioni degli ordinamenti nazionali, che, nel disciplinare
le  modalita'  di  esecuzione  della  pena  detentiva,  di  per   se'
comportante per  sua  natura  limitazioni  alla  vita  individuale  e
familiare per il distacco forzato che realizza, prescrivono in  vario
modo  l'isolamento  dei  detenuti  ed  inibiscono  colloqui   con   i
familiari,  con  il  principio  che  vieta  trattamenti   inumani   o
degradanti di cui all'art. 3 della Convenzione; ha  quindi  stabilito
da un lato la necessita'  che  la  struttura  penitenziaria  realizzi
qualche forma di controllo sui contatti tra il detenuto ed  il  mondo
esterno (sez. 2, Messina c/ Italia, 8 giugno 1999), dall'altro che la
detenzione, per quanto giustificata dalla condanna per gravi reati  e
da esigenze di tutela della collettivita',  non  puo'  sopprimere  in
modo  assoluto  la  relazionalita'  e  la  vita  affettiva   mediante
l'isolamento completo del  prigioniero,  che  puo'  produrre  effetti
negativi sulla personalita' e la sua desocializzazione con pregiudizi
irreversibili sul processo di reinserimento nel contesto civile (sez.
2, Van der Yen c. Paesi Bassi, 4 febbraio 2003) 
    NOTA5 
    .  Cio'  premesso,  nella  sentenza  in  questione  la  Corte  di
cassazione conclude indicando espressamente la  videoconferenza  come
strumento  atto  a  superare  i  limiti  di  costituzionalita'   che,
altrimenti, porrebbe la lettura restrittiva  dell'art.  41-bis  o.p.;
strumento idoneo a garantire tanto i criteri di sicurezza e  pericolo
che  sono  alla  radice  del  trattamento  differenziato,  quanto  il
rispetto dei diritti  fondamentali  dell'essere  umano  che  ad  ogni
detenuto,   per   quanto   severamente   ristretto,   devono   essere
riconosciuti. 
    In modo conforme, si e' di recente pronunciato  il  Tribunale  di
sorveglianza di Roma, che ha autorizzato il colloquio via  skype  tra
due detenuti - tra loro congiunti - sottoposti al regime  del  41-bis
o.p. 
    In merito, il predetto giudice ha evidenziato che, viceversa, «ci
sarebbe un grave pregiudizio al diritto del detenuto al  mantenimento
di relazioni di  diretta  presenza  con  i  piu'  stretti  congiunti.
contatti con i  parenti  hanno  rilevanza  come  strumento  volto  ad
impedire effetti negativi sulla personalita' del detenuto determinati
dallo stato detentivo. Pertanto, i colloqui rientrano  nell'attivita'
di recupero e rieducazione del condannato, anche per coloro che  sono
sottoposti al regime penitenziario del 41-bis o.p.. In altri termini,
da un lato  c'e'  l'esigenza  di  recidere  i  contatti  criminali  e
dall'altro il mantenimento del diritto  al  colloquio  diretto  e  di
presenza  con  i  congiunti  quale  minima  e  basilare  opportunita'
relazionale,  in  quanto  altrimenti  si  finirebbe  per   sopprimere
completamente la vita affettiva del detenuto con ulteriore svilimento
delle condizioni umane di restrizione e con  effetti  negativi  sulla
sua personalita' e con gravi pregiudizi sul percorso di reinserimento
sociale». 
    Cio'  stabilito,  il  predetto  giudice  ha  precisato  che   «la
valorizzazione della insopprimibilita' di  tale  diritto  sia  ancora
piu' preminente  nella  prospettiva  della  attuazione  dei  principi
costituzionali della finalita' rieducativa della pena e  del  divieto
del  trattamento  contrario  al  senso  di  umanita'  indicati  dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali,  considerato  che  per  le   restrizioni   di
movimento e di comunicazione  imposta  dal  regime  di  cui  all'art.
41-bis, l'accesso alle  altre  opportunita'  trattamentali  ordinarie
sono assai ridotte se non escluse del tutto». 
    Ancora, secondo il medesimo Tribunale, «il sacrificio del diritto
in questione non risponde alla concreta esigenza del 41-bis  o.p.  di
garantire l'ordine e la sicurezza pubblica, in quanto il collegamento
tramite Skype - gia' promosso con una circolare del Dap  (30  gennaio
2019) per effettuare colloqui di detenuti inseriti  nel  circuito  di
media sicurezza con i familiari - garantisce la visione dell'immagine
senza comportare spostamenti e contatti fisici diretti.  Inoltre,  il
contatto a distanza e' controllabile,  registrabile  e  non  comporta
rischi, in quanto l'interruzione del colloquio in caso di anomalie e'
un'opzione  agevolmente  percorribile».  Infine,  «non  vi  sarebbero
problemi  legati  alla  sicurezza  in  quanto  sia  il   sistema   di
videoconferenza, sia quello skype, sono gia' utilizzati per  i  video
collegamenti dei detenuti al 41-bis in occasione delle udienze». 
    Cio' premesso, deve osservarsi che nel  caso  in  argomento  tale
interpretazione estensiva, costituzionalmente orientata, fornita  dal
Tribunale  di  sorveglianza  di  Roma,  cosi'  come  dalla  Corte  di
cassazione nel 2014, non e' percorribile nel caso che occupa  per  la
sopravvenuta  disciplina  di   legge   emergenziale,   che   preclude
implicitamente e con una precisa scelta di campo - non  richiamandoli
- i collegamenti audiovisivi distanza con i familiari per i  detenuti
sottoposti al regime del 41-bis o.p. 
    Di  fronte  alla  chiara  struttura  della  relatio  formale   ed
esplicita tra l'art. 4 del decreto-legge n. 29/2020 e l'art. 18  o.p.
non appare possibile  estendere  l'interpretazione  della  legge,  in
maniera  correttiva  e   conforme   a   un'inespressa   ratio   legis
maggiormente ampia, senza prima ottenere  la  caducazione/demolizione
di tale norma legislativa di divieto. 
    Ne consegue che  un'esegesi  costituzionalmente  orientata  della
disposizione censurata,  potrebbe  dar  luogo  ad  un'interpretazione
evolutiva e non estensiva della norma,  vietata  perche'  snatura  la
funzione di giudice da organo di applicazione in quello di formazione
della legge (cfr. Corte di cassazione sez. 3, n. 2230 dell'11 gennaio
1980, Pasculli). 
    Cio'  premesso,  puo'  anticiparsi  che  la  rigida   preclusione
automatica prevista dall'art. 4 del decreto-legge n.  29/2020  espone
al sospetto di legittimita' costituzionale la  medesima  disposizione
per contrasto con gli articoli 2, 3, 27, 30, 31  comma  secondo,  32,
117 della Costituzione, nella parte in cui non  prevede  il  medesimo
trattamento per i detenuti ordinari e  quelli  sottoposti  al  regime
speciale di cui  all'art.  41-bis  o.p.  (o,  dalla  prospettiva  che
interessa, per i minorenni figli di detenuti ordinari e  i  minorenni
figli di detenuti in regime speciale), relativamente alla  disciplina
dei colloqui a distanza. 
Prima questione: sospetta violazione degli articoli 2, 3,  27,  30  e
31, comma secondo, 32 della Costituzione. 
    Come  anticipato,  l'art.  4,  decreto-legge  n.  29/2020  ha  un
riflesso indiretto anche sui diritti fondamentali dei minori, i quali
sono privati della  relazione  visiva  a  distanza  con  il  genitore
ristretto al regime speciale di cui all'art. 41-bis o.p.. Si  tratta,
quindi, di un vizio materiale consistente nella violazione  di  norme
costituzionali e, in particolare, degli articoli 2, 3,  27,  30,  31,
comma secondo, e 32. 
    In questa prospettiva si segnala che la Corte  costituzionale  ha
affermato che «[...] chi si trova in stato di detenzione, pur privato
della maggior  parte  della  sua  liberta',  ne  conserva  sempre  un
residuo, che e' tanto piu' prezioso in  quanto  costituisce  l'ultimo
ambito nel quale puo' spandersi la sua personalita' individuale». (5) 
    La giurisprudenza di legittimita' ha  riconosciuto  come  diritto
soggettivo - facente parte del trattamento del detenuto -  quello  al
mantenimento delle relazioni familiari, ampliando di fatto la portata
delle norme di ordinamento penitenziario, in particolar modo dopo  la
riforma del 1975. 
    Al riguardo, in diverse pronunce ha affermato che l'art. 2 Cost.,
prevedendo l'obbligo dello Stato di riconoscere e garantire i diritti
inviolabili della persona, sia  come  singolo  che  nelle  formazioni
sociali dove svolge  la  sua  personalita',  si  riferisce  anche  ai
detenuti. Non vi e' dubbio, infatti, che gli istituti penitenziari si
possono correttamente inquadrare come  tipi  di  formazioni  sociali,
ancorche' coatte, in cui la perdita della liberta'  conseguente  allo
status detentionis non deve  pregiudicare  le  esigenze  fondamentali
dell'uomo. 
    Come  anticipato,  in  diverse  occasioni  la  giurisprudenza  di
legittimita' ha affermato che, ai sensi dell'art. 27 Cost.,  la  pena
non deve tradursi in trattamenti contrari al senso di umanita' e deve
avere una finalita' rieducativa, consentendo  trattamenti  idonei  al
recupero sociale del  reo,  tra  i  quali  indiscussa  importanza  va
attribuita al mantenimento dei  rapporti  familiari  e,  soprattutto,
genitoriali. 
    Ad  ogni  modo,  i  suesposti  principi   sono   ribaditi   anche
dall'Amministrazione penitenziaria che afferma che tali  prescrizioni
«non sono volte  a  punire  e  non  devono  determinare  un'ulteriore
afflizione aggiuntiva alla pena gia' comminata» (6) 
    Alla luce delle esposte riflessioni, ne consegue che  non  devono
risultare   afflizioni   sproporzionate   rispetto   alla   finalita'
rieducativa della pena e che incidono su diritti  fondamentali  anche
di terzi soggetti incolpevoli che subiscono l'altrui carcerazione;  a
maggior ragione se si tratta di minorenni, che ricevono una  speciale
protezione   dalla   Carta   costituzionale   e   dalla   convenzioni
internazionali a tutela dell'infanzia. 
    In altri termini, non e' conforme all'ordinamento  costituzionale
l'applicazione di  una  pena  che,  in  assenza  di  una  valutazione
bilanciata  di  esigenze  e  diritti   costituzionali   contrapposti,
esplichi effetti incidenti sulla sfera  di  diritti  fondamentali  di
terzi «esterni»; e soprattutto se trattasi di soggetti minorenni,  la
cui tutela assume caratteri di preminenza nell'ordinamento  in  tutte
quelle  circostanze  che,  direttamente  ovvero  indirettamente,   ne
involgono gli interessi. 
    Cio' premesso, la sospetta violazione degli articoli 2,  3  e  30
della Costituzione emerge  dall'evidente  disparita'  di  trattamento
riservata ai figli minorenni dei detenuti sottoposti al  41-bis  o.p.
rispetto ai minorenni figli di detenuti ordinari,  con  la  correlata
violazione  di  diritti  inviolabili  come  quello  di   intrattenere
rapporti affettivi con i familiari detenuti, idonei  a  garantire  un
corretto sviluppo della personalita' ed una condizione  di  benessere
psicofisico del minore. 
    Nel caso specifico, non vi e' dubbio che risponde ad  un'esigenza
affettiva dei minorenni D.S. - specialmente in  un  momento  delicato
come  quello  rappresentato  dall'emergenza  Covid  19  -  quella  di
mantenere   il   contatto   visivo    con    il    padre    detenuto,
nell'impossibilita'  di  accedere  ai   colloqui   presso   la   casa
circondariale di ... . Per converso, la  violazione  sospetta  esiste
anche sotto la diversa prospettiva del condannato. 
    Parimenti,  la  violazione  costituzionale  potrebbe  apprezzarsi
sotto il profilo degli  articoli  31,  comma  secondo,  e  32  Cost.,
intimamente connessi tra loro e con  le  disposizioni  costituzionali
prima richiamate. 
    Non vi e' dubbio che l'impossibilita'  di  fruire  per  un  lungo
lasso di tempo di un contatto telefonico e visivo con il  padre  stia
arrecando ai minorenni D.S. - soprattutto  all'adolescente  C.  cosi'
come  rilevato  dagli  specialisti  socio-sanitari  dell'....  -   un
indubbio pregiudizio alla loro integrita' psicofisica. 
    Parimenti, la preclusione introdotta  non  appare  in  linea  con
l'art. 31, comma secondo Cost., secondo cui «La  Repubblica  protegge
la maternita', l'infanzia e  la  gioventu',  favorendo  gli  istituti
necessari a tale scopo». 
    In altri termini, non vi e' dubbio che appaia in contrasto con le
disposizioni costituzionali sopra richiamate una norma che non  operi
il necessario bilanciamento tra le esigenze  di  sicurezza  e  ordine
pubblico e quelle di «protezione dell'infanzia  e  della  gioventu'»,
privilegiando automaticamente le prime. 
    Preme sottolineare come l'emergenza  non  possa  giustificare  la
conculcazione di diritti fondamentali della  persona  nell'ottica  di
una asserita generica ed indiscriminata tutela della salute  pubblica
e di un'apodittica esigenza di sicurezza.  Occorre  bensi'  valutare,
caso per caso, le condizioni contingenti, per bilanciare nel modo  il
piu' possibile rispondente alla fattispecie concreta,  la  supremazia
di un diritto fondamentale rispetto ad un altro. 
    Ne' l'emergenza puo' giustificare l'emanazione di  una  normativa
contraddittoria e  ingiusta,  atta  a  disciplinare  casi  simili  in
maniera irragionevolmente diversa. 
    Come anticipato, secondo il DAP i contatti  del  tipo  di  quelli
previsti dal provvedimento vigente del Tribunale per i minorenni  non
sarebbero autorizzabili perche' i detenuti di cui al regime di 41-bis
o.p. non fanno parte dello specifico  elenco  delle  categorie  degli
ammessi al detto  beneficio.  Infatti  per  essi  il  meccanismo  dei
colloqui e'  regolato  espressamente  dalla  piu'  restrittiva  norma
portata  dall'art.  41-bis,  comma  2-quater,  lettera  b)  legge  n.
354/1975. Detta norma  non  prevede  assolutamente  l'utilizzo  delle
videochiamate   per   i   colloqui.   Ne    discenderebbe    pertanto
l'impossibilita' di provvedere in tal senso nel caso in argomento. 
    Cio', posto, appare incomprensibile  la  differenziazione  tra  i
minori figli di detenuti «ordinari» e quelli di  detenuti  sottoposti
al regime di 41-bis o.p. Sebbene la disciplina del c.d. carcere  duro
sia ritenuta conforme a Costituzione in virtu' della specificita' dei
reati per i quali viene applicata e si  giustifichi  con  la  precisa
ratio di recidere legami tanto stretti come quelli di stampo mafioso,
che per loro natura intrinseca non sono destinati a  cessare  con  la
carcerazione, questo non puo' dare la stura alla  creazione  di  zone
d'ombra  non  soggette  al  controllo  costituzionale.  Cio'   trova,
peraltro, conferma nella recente pronuncia della Corte costituzionale
con la quale e' stato dichiarato  illegittimo  l'art.  41-bis,  comma
2-quater, lettera f) nella parte in cui non consente ai  detenuti  di
cuocere cibi (7) . 
    In altri termini, la  normativa  esaminata  appare  di  difficile
sostenibilita' nel  nostro  quadro  costituzionale,  avendo  analoghe
questioni  gia'  trovato   puntuale   risposta   in   altro   recente
pronunciamento della Corte delle leggi del 2020/97. 
    Nell'occasione, la  Corte  costituzionale,  entrando  nel  merito
della congruita' dei divieti del 41-bis rispetto  agli  scopi  per  i
quali e' prevista detta norma, ha affermato  che  «la  giurisprudenza
costituzionale ha chiarito che, in base  all'art.  41-bis,  comma  2,
ordin. penit., e' possibile sospendere solo l'applicazione di  regole
e istituti dell'ordinamento penitenziario che risultino  in  concreto
contrasto  con  le  richiamate  esigenze  di  ordine   e   sicurezza.
Correlativamente, ha affermato non potersi  disporre  misure  che,  a
causa del loro contenuto, non siano riconducibili a  quelle  concrete
esigenze, poiche' si tratterebbe in tal caso  di  misure  palesemente
incongrue o inidonee rispetto alle finalita'  del  provvedimento  che
assegna il detenuto al regime differenziato. Se cio' accade, non solo
le misure in questione non risponderebbero piu' al fine in vista  del
quale  la  legge  consente  siano  adottate,  ma  acquisterebbero  un
significato diverso, "divenendo ingiustificate deroghe  all'ordinario
regime  carcerario,  con  una  portata   puramente   afflittiva   non
riconducibile alla funzione attribuita dalla, legge al  provvedimento
ministeriale" (sentenza n. 351 del 1996)». 
    In sostanza, la compressione della possibilita'  di  intrattenere
colloqui visivi a distanza con i familiari  (figli  minorenni)  e  la
conseguente deroga all'applicazione delle regole ordinarie,  potrebbe
giustificarsi non in via generale ed astratta,  ma  solo  se  esista,
nelle specifiche  condizioni  date,  la  necessita'  in  concreto  di
garantire la sicurezza  dei  cittadini  e  la  motivata  esigenza  di
prevenire - come recita l'art. 41-bis , comma secondo quater, lettera
a) ordinanza pen.  -  «contatti  con  l'organizzazione  criminale  di
appartenenza o di attuale  riferimento,  contrasti  con  elementi  di
organizzazioni  criminali  contrapposte  o  interazioni   con   altri
detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero
ad altre ad essa alleate». 
    Da  questo  punto   di   vista,   l'applicazione   necessaria   e
generalizzata del divieto  di  collegamenti  a  distanza,  sconta  il
limite di essere frutto di un  bilanciamento  condotto  ex  ante  dal
legislatore, a prescindere, percio',  da  una  verifica  in  concreto
dell'esistenza delle ricordate, specifiche, esigenze di sicurezza,  e
senza possibilita' di adattamenti calibrati  sulle  peculiarita'  dei
singoli casi. 
    Questa verifica, operata sulla disposizione  censurata,  fornisce
esito  negativo,  sicche'  le  questioni  sollevate   non   risultano
manifestamente  infondate,  per  sospetta  violazione   delle   norme
costituzionale sopra richiamate. 
    E', in definitiva, la previsione ex lege del divieto  assoluto  a
costituire  misura  sproporzionata  anche  sotto  questo  profilo  in
contrasto con gli articoli  3  e  27  Cost..  In  questo  caso,  alla
compressione di una forma minima  di  socialita'  -  estrinsecantesi,
peraltro, nell'ambito di una cerchia assai ristretta di soggetti  non
corrisponde un accrescimento  delle  garanzie  di  difesa  sociale  e
sicurezza pubblica. 
    Nel caso che occupa, in aggiunta,  la  Procura  della  Repubblica
presso il tribunale di  ...  (DDA)  ha  formulato  parere  favorevole
all'effettuazione dei colloqui anche audiovisivi a  distanza  tra  il
detenuto D.S. ed i figli minorenni. Motivo per  cui  le  esigenze  di
sicurezza  sono  state  ritenute  assolutamente  tutelabili  con   la
registrazione  audio-video  del   colloquio,   la   possibilita'   di
interruzione e con la presenza dei minorenni presso gli Uffici  della
Questura di ...: condizioni di carattere generale che, a  prescindere
dalla situazione concreta, consentirebbero di realizzare in  assoluta
sicurezza colloqui a distanza per tutti i figli minorenni e, piu'  in
generale, per i familiari dei detenuti sottoposti al 41-bis o.p.. 
    In altri termini, gli accorgimenti  predisposti  per  i  contatti
autorizzati  dal  Tribunale  per  i  minorenni  tra  padre  e  figlio
sostanziano un livello di controllo ancora piu' efficace dei colloqui
in  presenza  e  garantirebbero  la  tutela  bilaterale  dei  diritti
fondamentali indicati, nell'ambito di un procedimento  nel  quale  il
detenuto D.S. , lungi dal contestarne le statuizioni, si e'  adeguato
proponendosi collaborativo esattamente nella dimensione richiestagli. 
    Aggiungasi, per completezza  di  esposizione,  che  nel  caso  di
accoglimento della presente questione di costituzionalita', in  forza
della  disposizione  di  cui  alla  lettera  a)  del  comma  2-quater
dell'art. 41-bis o.p. - secondo cui la sospensione  delle  regole  di
trattamento e degli istituti  di  cui  al  comma  2  puo'  comportare
«l'adozione di misure di sicurezza interna  ed  esterna»  -  restera'
consentito  all'amministrazione  penitenziaria  di  disciplinare   le
modalita' di effettuazione dei collegamenti a distanza -  cosi'  come
avviene gia' per i detenuti ordinari e come ipotizzato  dalla  stessa
Corte di cassazione con la  sentenza  n.  7654/2014  per  gli  stessi
detenuti  in  regime  speciale  -,  nonche'  di   predeterminare   le
condizioni per introdurre  eventuali  limitazioni.  Naturalmente,  le
limitazioni dovrebbero risultare giustificate da precise esigenze, da
motivare espressamente, e sotto questi profili ben potrebbero  essere
sindacate, di volta in volta, in  relazione  al  caso  concreto,  dal
magistrato di sorveglianza, in attuazione di  quanto  disposto  dagli
articoli 35-bis, comma 3, e 69, comma 6, lettera b), ordinanza pen. 
    Ancora, seppur con riferimento diretto alle esigenze del presente
procedimento civile - ma specularmente per quelle proprie rieducative
e  di  umanita'  del  trattamento  sanzionatorio  -  la  disposizione
richiamata appare in contrasto con l'art. 27 Cost.,  non  consentendo
al detenuto di potere recuperare correttamente il rapporto coni figli
e, indirettamente,  di  reinserirsi  socialmente,  emendando  la  sua
condotta  che  ha  provocato  e  sta   provocando   (con   la   lunga
carcerazione) enorme sofferenza pure alla prole minorenne. 
    In altri termini, se e' vero che la pena si realizza per  effetto
della privazione della liberta', tuttavia  e'  egualmente  innegabile
che  essa  debba,  al  contempo,  consentire  trattamenti  idonei  al
recupero sociale del reo e,  fra  questi,  indiscussa  importanza  va
attribuita al mantenimento dei rapporti familiari e, soprattutto,  al
recupero di quelli genitoriali; prospettiva che  e'  privilegiata  da
questa autorita' giudiziaria, in quanto  funzionale  a  garantire  il
superiore interesse del minore. 
Seconda questione: sospetto contrasto con l'art.  117,  primo  comma,
Costituzione in riferimento agli articoli 3  e  8  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali (CEDU). 
    La valorizzazione dei rapporti tra genitori e i  figli  minorenni
assume una portata di piu' ampio respiro anche attraverso  le  tutele
sovranazionali. 
    Come anticipato, la Convenzione delle Nazioni Unite  sui  diritti
dell'infanzia e dell'adolescenza (Convention on  the  Rights  of  the
Child CRC) del 1989  (8)   individua  l'interesse  del  minore  quale
necessario  oggetto  di  primaria   considerazione,   in   tutte   le
statuizioni  legislative,  amministrative  e  giudiziarie:  «in   all
actions concerning children, whether undertaken by public or  private
social  welfare   institutions,   courts   of   law,   administrative
authorities or legislative bodies, the best interests  of  the  child
shall be a primary consideration». (9) 
    Preme all'uopo evidenziare che  sono  due  i  punti  fondamentali
sottolineati, ossia il perseguimento del miglior interesse del minore
e letteralmente «tutte le azioni riguardanti i bambini». 
    Si e' cosi' realizzato un  mutamento  di  prospettiva  attraverso
l'introduzione del concetto di  «best  interest  of  the  child»:  il
minore  e'  riconosciuto  titolare  di  diritti,  portatore   di   un
interesse, che - dal legislatore prima  e  dal  giudice  poi  -  deve
essere considerato  preminente,  laddove  siano  coinvolte  dinamiche
esistenziali di bambini, soprattutto se in tenera eta'. 
    La   nozione   di   «actions   concerning    children»    secondo
l'interpretazione avallata dal Comitato  dei  diritti  del  fanciullo
comprende tanto le misure  che  hanno  un  minore  come  destinatario
immediato, quanto quelle che sulla vita dello stesso si  ripercuotono
sebbene indirizzate ad altri. 
    Le  conseguenze  indirette  delle  azioni  non   specificatamente
dirette verso i minori devono essere apprezzate caso per caso in modo
da assicurare le piu' adatte protezioni del fanciullo a seconda delle
circostanze concrete. 
    In altri termini, in presenza di «actions concerning children» il
minore deve comunque godere di «primary consideration» secondo misure
flessibili. (10) 
    Quanto al preminente interesse del minore in  rapporto  a  misure
che incidono sui suoi interessi  direttamente  ed  indirettamente  si
puo' altresi' fare riferimento, a livello sovranazionale, alla  Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea, firmata a Strasburgo il
12 dicembre 2007 (che sostituisce la Carta proclamata a  Nizza  il  7
dicembre 2000), che all'art. 24 ribadisce il diritto dei minori  alla
protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, evidenziando
altresi' come «in tutti gli atti relativi  a  minori»,  «compiuti  da
autorita'  pubbliche»  o  «da  istituzioni   private»,   «l'interesse
superiore del  minore  deve  essere  considerato  preminente».  Sulla
stessa  scia  dei  «diritti  del  bambino»  il  Trattato  sull'Unione
europea, art. 3, paragrafo 3 si occupa della protezione  dei  diritti
dei minori (in generale). 
    Ancora, a livello europeo, la  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo (CEDU) non fornisce una definizione di minore,  ma  il  suo
art. 1 obbliga gli Stati a riconoscere i diritti della Convenzione  a
«ogni persona» sottoposta alla loro giurisdizione.  L'art.  14  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali assicura il godimento dei diritti  riconosciuti
nella Convenzione «senza nessuna  discriminazione»,  comprese  quelle
fondate sull'eta'. (11) . Tra le  fattispecie  applicabili  a  tutti,
compresi i minori vengono spesso valorizzate quelle di cui agli  art.
8 che  garantisce  il  diritto  al  rispetto  della  vita  privata  e
familiare, e 3 che  vieta  la  tortura  nonche'  pene  e  trattamenti
inumani e degradanti. 
    Avvalendosi di approcci interpretativi che si  concentrano  sugli
obblighi positivi insiti nelle disposizioni della Convenzione europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha sviluppato un
ampio corpus giurisprudenziale in  materia  di  diritti  dei  minori.
Varie interpretazioni della  norma  di  cui  all'art.  8  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali hanno condotto all'affermazione secondo  la  quale  tale
disposizione configura un diritto suscettibile di  bilanciamento  per
effetto del secondo comma, che  ammette  limitazioni  al  diritto  in
parola, ove previste dalla legge e giustificate  dalla  tutela  della
sicurezza e dell'ordine pubblico, oltre che  per  la  protezione  dei
diritti e delle liberta' altrui. 
    In quest'ottica si giustificano le  particolari  disposizioni  di
sicurezza adottate per i genitori sottoposti a detenzione carceraria.
Le limitazioni previste  sono  conseguenza  di  scelte  sanzionatorie
collegate  a  violazioni  di   norme   imperative   che   strutturano
l'ordinamento  nazionale  e  la  cui  efficacia  non  e'   messa   in
discussione a livello europeo. 
    Si  fa  riferimento  alle  Regole  penitenziarie  europee  (EPR),
dettate al fine di uniformare le politiche penitenziarie degli  Stati
membri. Agli articoli 64 e 65 e' previsto, in particolare, che  «ogni
sforzo deve essere fatto per assicurarsi che i regimi degli  istituti
siano regolati e gestiti in maniera da: [...] mantenere e  rafforzare
i legami dei detenuti con i membri della famiglia e con la  comunita'
esterna al fine di proteggere gli interessi dei detenuti e delle loro
famiglie» ;  e  ancora,  all'art.  24,  viene  fissato  l'obbligo  di
garantire il mantenimento e lo sviluppo di  relazioni  familiari  «il
piu' possibile normali». 
    Orbene, per quanto qui di interesse, non sembra  possano  esserci
difficolta' nel riconoscere che gli standard sovranazionali di tutela
dei diritti umani fondino l'esigenza di un sistema sanzionatorio  nel
quale l'impatto sui figli sia oggetto di autonoma  considerazione  al
fine della determinazione ed  esecuzione  della  pena  a  carico  del
genitore. Aspetto di precipuo interesse costituzionale del  quale  il
legislatore si deve fare carico e dal quale il giudice non  puo'  non
farsi orientare nelle questioni sottoposte alla sua attenzione e  che
comportano una delicata riflessione sul bilanciamento degli interessi
emergenti di volta in volta. 
    Ad  ogni  modo,  i  suesposti  principi   sono   ribaditi   anche
dall'Amministrazione penitenziaria che afferma che tali  prescrizioni
«non sono volte  a  punire  e  non  devono  determinare  un'ulteriore
afflizione aggiuntiva alla pena gia' comminata»  (12)  .  A  cio'  va
aggiunto che non devono risultare afflizioni anche a  terzi  soggetti
incolpevoli che subiscono l'altrui carcerazione. 
    Cosi' ricostruito il quadro normativo sovranazionale,  ad  avviso
di  questo  giudice  l'art.  4  del  decreto-legge  n.   29/2020   e'
attraversato da un altro  profilo  di  sospetta  incostituzionalita',
intimamente connesso a quelli  prima  esaminati.  Potrebbe,  infatti,
prospettarsi la violazione dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.  per
mancata  attuazione  dell'art.   8   Convenzione   europea   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
secondo cui «ogni persona ha  diritto  al  rispetto  della  sua  vita
privata e familiare, del suo domicilio e  della  sua  corrispondenza.
Non puo' esservi ingerenza di una autorita'  pubblica  nell'esercizio
di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge  e
costituisca  una  misura  che,  in  una  societa'   democratica,   e'
necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per
il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per  la
prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale,
o per la protezione dei diritti e delle liberta' altrui». 
    Analoghe  considerazioni   posso   specularmente   svolgersi   in
riferimento all'art. 3 della Convenzione,  che  vieta  i  trattamenti
inumani e degradanti, sia sotto il profilo del detenuto che di quello
dei figli  minorenni,  costretti  a  patire  le  conseguenze  di  una
legislazione particolarmente afflittiva. 
    Tanto premesso in ordine generale, seguendo le  direttrici  delle
sentenze  «gemelle»  n.  348  e  n.  349   del   2007   della   Corte
costituzionale, non  si  puo'  non  riconoscere  che,  tra  normativa
interna di rango primario e la Costituzione, si e'  «interposta»  una
norma,  attuativa  di  un  trattato  internazionale,  che,  pur   non
direttamente applicabile, crea obblighi del nostro paese, quale Stato
contraente. 
    Tali obblighi, in primo luogo, impongono  al  giudice  comune  di
«interpretare la norma interna in  modo  conforme  alla  disposizione
internazionale, entro i limiti nei quali cio' sia permesso dai  testi
delle norme. Qualora cio' non sia possibile, ovvero il giudice dubiti
della  compatibilita'  della  norma  interna  con   la   disposizione
convenzionale "interposta", egli deve investire  questa  Corte  della
relativa  questione  di  legittimita'  costituzionale   rispetto   al
parametro  dell'art.  117,  primo  comma  spettera'  poi  alla  Corte
...accertare il contrasto e, in caso affermativo,  verificare  se  le
stesse norme ... garantiscono una  tutela  dei  diritti  fondamentali
almeno equivalente al livello garantito dalla  Costituzione  italiana
(Corte cost. n. 349/2007). 
    Secondo la  Corte  costituzionale,  le  norme  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali costituiscono esempio di parametro di  costituzionalita'
in quanto  al  legislatore  nazionale  e'  richiesta  una  produzione
legislativa conforme alle disposizioni contenute nel testo anzidetto.
Detto parametro si  definisce  interposto  in  quanto  riproduce  uno
strumento normativo sovra nazionale (fonte -fatto), recuperato  nella
vincolativita' attraverso l'art. 117 primo comma Cost. (« La potesta'
legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle  Regioni  nel  rispetto
della Costituzione, nonche' dei  vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali»). 
    In altri termini, tali disposizioni - prive di efficacia  diretta
- sono vincolanti  per  gli  Stati  membri  quanto  al  risultato  da
ottenere, salva restando la competenza delle autorita'  nazionali  in
merito alla forma e ai mezzi. 
    La  vincolativita'  delle  statuizioni  si  manifesta   in   piu'
direzioni. 
    Anzitutto,  si  prevede  in  capo  alle   Autorita'   giudiziarie
l'obbligo di interpretare il diritto interno in modo conforme, quando
sia reso possibile dal tenore letterale delle disposizioni nazionali.
Inoltre,     per     risolvere     antinomie     non      componibili
nell'interpretazione, la disposizione convenzionale quando  e'  priva
di effetto diretto integra il disposto dell'art.  117,  primo  comma,
Cost., inserendosi nel discorso costituzionale al pari  di  parametro
interposto. 
    Cio'  premesso,  e'  indubbio  che  il  contrasto  tra  l'attuale
formulazione dell'art. 4 del decreto-legge n. 29 del 2020 e le  norme
richiamate sia insanabile in via interpretativa. 
    Il contrasto segnalato deve,  pertanto,  essere  sottoposto  alla
verifica di costituzionalita' del  giudice  ad  quem.  Questa  appare
l'unica soluzione idonea (e propedeutica) a  garantire  l'adeguamento
del diritto interno agli obblighi convenzionali assunti  in  materia.
La Consulta puo' dunque essere investita, per  il  tramite  dell'art.
117 Cost., della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4
del decreto-legge emergenziale n. 29 del  2020  nella  parte  in  cui
omettendo di trattare. i rapporti familiari dei  detenuti  al  41-bis
o.p.  nei  termini  sopra  indicati,  osta  alla  realizzazione   dei
preminenti  interessi  dei  minori   come   tracciati   dalle   norme
internazionali richiamate  e  compendiati  -  sotto  il  profilo  del
diritto fondamentale alle relazioni familiari - negli articoli 3 e  8
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali. 
    Per il complesso dei motivi sopra  segnalati,  deve  prospettarsi
come  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge  10  maggio
2020, n. 29, per potenziale contrasto con gli articoli 2, 3, 27,  30,
31 comma secondo, 32 e 117 della Costituzione, nella parte in cui non
prevede che i colloqui con i familiari e conviventi cui hanno diritto
i detenuti o gli internati  sottoposti  al  regime  speciale  di  cui
all'art. 41-bis della legge 26 luglio 1975,  n.  354  possono  essere
svolti a distanza con i  figli  minorenni  mediante,  ove  possibile,
apparecchiature  e  collegamenti  di  cui  dispone  l'amministrazione
penitenziaria e minorile . 
    Al riguardo, non vi e'  dubbio  che  la  presente  questione  sia
sollevata per minorenni figli di detenuti sottoposti al 41-bis  o.p.,
che  devono  necessariamente  essere  inclusi  nella  categoria   dei
congiunti,  ma  il  petitum  potrebbe   in   via   consequenziale   -
sussistendone i medesimi motivi - essere  allargato  dal  giudice  ad
quem,  per  derivazione  causale,  a  tutti  gli  altri  familiari  e
conviventi. 
Terza  questione:  sospetta  incostituzionalita'   dell'art.   41-bis
2-quater, lettera b), terzo periodo,  ordinamento  penitenziario  per
potenziale contrasto con gli articoli 2, 3, 27, 30, 31 comma secondo,
32 e 117 della Costituzione 
    Per analoghi motivi e per la stessa rilevanza della questione nel
giudizio a quo, che continuera' a tutela dei minorenni D.S. oltre  lo
stretto periodo emergenziale (non essendo peraltro intervenuta alcuna
pronuncia di archiviazione), deve segnalarsi il potenziale  contrasto
tra   l'art.   41-bis   2-quater,   lettera   b),   terzo    periodo,
dell'ordinamento penitenziario, intimamente connesso con l'art. 4 del
decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, e le norme costituzionali  sopra
richiamate, nella parte in cui non prevede che i colloqui sostitutivi
del colloquio visivo tra il detenuto sottoposto al regime speciale ed
i figli minorenni possono essere  autorizzati,  in  alternativa,  con
modalita' audiovisive. 
    La presente questione e'  sollevata  per  i  minorenni  figli  di
detenuti sottoposti al 41-bis o.p., tuttavia il petitum  potrebbe  in
via  consequenziale  -  sussistendone  i  medesimi  motivi  -  essere
allargato dal giudice ad quem, per derivazione  causale,  a  tutti  i
familiari e conviventi. 
    E' notorio, infatti, che l'emergenza epidemiologica ripercuotera'
i suoi effetti fino a dopo il 30 giugno 2020  (comunque  fino  al  31
luglio 2020, come stabilito dal decreto-legge 25 marzo 2020,  n.  19,
convertito nella legge 22 maggio 2020, n. 35), rendendo rischiosi per
i minorenni D.S. - cosi'  come  per  altri  minorenni  in  condizioni
analoghe - gli spostamenti sul territorio nazionale sino a quando non
saranno individuati e resi nella  disponibilita'  dei  cittadini  gli
antidoti farmacologici necessari (vaccino). 
    A prescindere dalle motivazioni di carattere  sanitario  presenti
nel caso che occupa, non vi e' dubbio che le trasferte per i colloqui
visivi comportano oneri economici e di altro  genere  non  facilmente
sostenibili e, per quel che concerne i minorenni, anche problematiche
di natura scolastica. Non vi e' dubbio,  infatti,  che  la  complessa
organizzazione delle trasferte  presso  i  penitenziari  ospitanti  i
detenuti al 41-bis o.p. (quasi tutti collocati nel Centro,  nel  Nord
Italia  e  in  Sardegna)  determina  nella  maggior  parte  dei  casi
l'assenza scolastica del minorenne, con pregiudizio di quello che  e'
il suo superiore interesse. Determina,  in  generale,  un'ingiusta  e
irrazionale  discriminazione  tra  minorenni,   in   relazione   alle
condizioni economiche e di salute, alle condizioni familiari  e  alla
distanza  chilometrica  dagli  istituti  penitenziari   ospitanti   i
genitori detenuti al 41-bis o.p., con la conseguenza che la  presenza
ai  colloqui  visivi  per  alcuni  e'  preclusa  o   comunque   assai
compromessa. 
    La possibilita' - gia'  prevista  dall'ordinamento  penitenziario
sebbene per la sola fase dell'emergenza Covid 19  e  per  i  detenuti
comuni  -  di   colloqui   (sostitutivi)   audiovisivi   a   distanza
consentirebbe di superare le  difficolta'  segnalate,  garantendo  il
superiore  interesse  del  minore   e   condizioni   di   uguaglianza
sostanziale. 
    Come gia' evidenziato da altre autorita'  giudiziarie  (tribunale
di sorveglianza di Roma  e  Corte  di  cassazione),  le  esigenze  di
sicurezza e ordine pubblico potrebbero essere adeguatamente garantite
dalla  video  registrazione,  dalla  possibilita'   di   interruzione
contestuale del colloquio e dall'espletamento dello stesso -  per  la
parte relativa ai minorenni - presso una caserma  dei  carabinieri  o
altro ufficio di polizia giudiziaria tecnicamente attrezzato, secondo
modalita' gia' in atto e previste per legge e regolamento. 
    In    ordine     all'impossibilita'     di     un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  della   norma   in   questione,   deve
osservarsi che la possibilita' dei colloqui a distanza - sebbene solo
per  i  detenuti  in  regime  ordinario   -   e'   stata   introdotta
espressamente dall'art. 4 del decreto-legge n. 2 del 10 maggio  2020;
cio' a riprova di una diversa lettura  dell'antecedente  art.  41-bis
o.p. fornita dallo stesso legislatore,  che  altrimenti  non  avrebbe
avuto la necessita' di precisare  per  norma  una  possibilita'  gia'
prevista dall'ordinamento penitenziario. 
    Quanto alla pronuncia che si richiede alla Corte  costituzionale,
deve osservarsi che le possibilita' tecniche di colloqui  audiovisivi
sono gia' previste per i  detenuti  ordinari,  sicche'  -  una  volta
intervenuta  l'eventuale  pronuncia  di  incostituzionalita'   -   la
normativa di dettaglio (regolamentare) potrebbe - come gia'  in  atto
prevede l'art. 4 del decreto-legge 10  maggio  2020,  n.  29  e  come
previsto dalle pregresse circolari del DAP  dettate  per  l'emergenza
Covid  19  e   non   solo   -   essere   demandata   e   disciplinata
all'Amministrazione penitenziaria senza cosi' invadere le  competenze
del legislatore. 
    Per completezza di esposizione e  per  dissipare  ogni  ulteriore
dubbio in merito, deve segnalarsi che gli accorgimenti tecnici che si
richiederebbero all'Amministrazione penitenziaria e  agli  organi  di
polizia delegati sono assolutamente identici, alla luce degli attuali
progressi della tecnologia legata ai telefoni, a quelli previsti  per
i semplici colloqui telefonici. 
    Deve, infine, segnalarsi che i  colloqui  telefonici  sostitutivi
per i familiari maggiorenni e  quelli  audiovisivi  per  i  minorenni
potrebbero agevolmente essere realizzati in  un'unica  sessione,  nel
rispetto del dettato legislativo di  cui  all'art.  41-bis  2-quater,
lettera b), secondo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354. 
    Deve pertanto  segnalarsi  il  potenziale  contrasto  tra  l'art.
41-bis  2-quater,  lettera  b),  secondo  periodo,   dell'ordinamento
penitenziario, e gli articoli 2, 3, 27, terzo comma, 30, 31,  secondo
comma, 32 e 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in  cui
non prevede che i  colloqui  sostitutivi  di  quelli  visivi  tra  il
detenuto  ed  i  figli  minorenni  possono  essere  autorizzati,   in
alternativa  ai  colloqui  telefonici,  a  distanza   con   modalita'
audiovisive. 
Disapplicazione della circolare amministrativa del DAP. 
    Come anticipato, il  Procuratore  della  Repubblica  in  sede  ha
chiesto a questo  giudice,  «di  concedere  contestualmente  (in  via
immediata, provvisoria, lato sensu cautelare e urgente) i colloqui  a
distanza di cui trattasi (in termini da prevedere  -  almeno  -  sino
alla data del 30 giugno 2020) previa delibazione della  questione  di
legittimita' dianzi prospettata e disapplicazione  delle  statuizioni
della circolare del DAP n. 101903/AG del 27 marzo 2020, ove  ritenute
rilevanti (in senso potenzialmente ostativo)  affini  della  conferma
delle disposizioni gia' emesse de potestate, ...  e  della  norma  di
legge presunta illegittima - e subordinando la conferma  della  detta
misura   interinale   alla   declaratoria   di    incostituzionalita'
sopraggiunta». 
    Cio' premesso, in  ordine  alla  possibilita'  di  autorizzare  i
colloqui a distanza tra il D.S. e i figli minorenni  deve  osservarsi
che, pur ribadendosene la necessita' per le  ragioni  evidenziate  da
parte di questo giudice, il direttore generale  dei  detenuti  e  del
trattamento del D.A.P. ha rifiutato di eseguire il provvedimento  del
21 aprile  2020  per  il  sopravvenuto  intervento  dell'art.  4  del
decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29. 
    Tale  norma,  oltretutto,  fornisce  anche  lo  spunto  per   una
interpretazione piu' rigorosa dell'art. 41-bis ordinanza  pen.  nella
parte in cui non prevede tale possibilita'. 
    Ne consegue che la circolare del D.A.P. n. 101903IAG del 27 marzo
2020, nella parte in cui non  prevede  la  possibilita'  di  colloqui
audiovisivi a distanza per i detenuti al 41-bis o.p. non puo'  essere
disapplicata, trovando la stessa il suo fondamento in disposizioni di
legge   non    suscettibili    di    un'interpretazione    estensiva,
costituzionalmente orientata. 
    L'alternativa  comporterebbe  un  intervento  di  questo  giudice
analogo a quello riservato alla Corte costituzionale. 
    In ordine alla vexata quaestio, appare condivisibile  l'indirizzo
dottrinale secondo cui, «esperito  negativamente  ogni  tentativo  di
un'interpretazione costituzionalmente orientata,  la  disapplicazione
di una legge ritenuta illegittima puo' avvenire solo a seguito di una
pronuncia di incostituzionalita', perche' nel nostro ordinamento  non
puo' essere ritenuto proprio dei giudici il potere di disapplicare la
legge, se non vi sia stata un  pronuncia  di  incostituzionalita'  da
parte della Corte costituzionale». 
    Nelle  more   della   decisione   della   Corte   costituzionale,
indispensabile per la fruibilita' da parte  dei  minorenni  D.S.  dei
colloqui audiovisivi a distanza auspicati  da  questo  giudice,  puo'
invece essere disapplicata la suddetta circolare nella parte  in  cui
esclude i minorenni dai colloqui telefonici sostitutivi, che pertanto
devono  essere  immediatamente  organizzati  per  tutto  il   periodo
emergenziale, secondo le modalita'  gia'  indicate  dal  DAP  con  la
medesima circolare per i familiari maggiorenni dei detenuti al 41-bis
o.p. 
    Al riguardo, deve osservarsi che appare palesemente contra  legem
la suddetta circolare nella parte in cui nega ai minorenni  figli  di
detenuti sottoposti al regime speciale la possibilita' di fruire  dei
suddetti colloqui telefonici, peraltro prevista dalla norma  primaria
dell'art. 41-bis o.p.. 
    In altri termini, la situazione emergenziale non puo'  costituire
lo spunto per conculcare diritti soggettivi fondamentali, seppur  per
un tempo limitato. 
    Oltretutto,  la  predisposizione  e  l'uso  dei  dispositivi   di
sicurezza individuali e il distanziamento  sociale  -  attuabile  sia
presso l'istituto di detenzione che presso la caserma dei carabinieri
(secondo  quanto  indicato  dal  DAP)  o  presso  la  Questura  (come
suggerito da questo tribunale  per  i  minorenni)  -  appaiono  tutte
modalita' attuative idonee  a  garantire  in  ordine  alla  sicurezza
sanitaria anche per i minorenni. 
    Cio' premesso, quando una circolare lede diritti soggettivi  come
nel caso che ci occupa, «l'interessato non dovra'  impugnare  ne'  la
circolare ne' l'atto di applicazione, stante la possibilita' da parte
del G.O. in base all'art. 5 della L.A.C. di verificare la  fondatezza
della pretesa attraverso la cognizione incidentale degli atti emanati
dalla P.A.» (13) 
    Al riguardo, non sembra superfluo segnalare che le circolari sono
atti di regolazione interna ed esplicano, percio',  effetti  entro  i
confini dell'organizzazione degli uffici, degli enti,  del  personale
amministrativo. 
    Nonostante cio' non mancano  ipotesi  di  circolari  che  abbiano
efficacia «esterna» che siano, cioe', idonee  ad  incidere  la  sfera
soggettiva di un terzo estraneo all'Amministrazione. In ogni caso, e'
fondamentale rilevare che la circolare non ha effetti vincolanti, non
obbliga alla sua osservanza neanche l'Amministrazione stessa che l'ha
emanata. Questo  perche'  -  essendo  atto  emergente  da  necessita'
mutevoli - e' passibile di continua modifica ed in ogni  caso  sempre
sottoposto al controllo della legge. In altri termini, una  circolare
illegittima non sara' applicata dagli  uffici  ai  quali  si  rivolge
poiche' in palese contrasto con il principio di legalita'. 
    Con riguardo all'efficacia esterna, affermare  che  la  circolare
possa vincolare il Giudice, vorrebbe dire che  l'atto  amministrativo
de quo possa avere effetti normativi e cio' decisamente in  conflitto
con il dettato Costituzionale sulla riserva di legge (art. 23 Cost.). 
    Per meglio chiarire,  il  Consiglio  di  Stato  ha  affermato  in
proposito che: «...le circolari amministrative sono atti diretti agli
organi e uffici periferici ovvero sottordinati, che non hanno di  per
se' valore normativo o provvedimentale. Ne consegue che tali atti non
rivestono una rilevanza determinante nella genesi  dei  provvedimenti
che' ne fanno applicazione». Inoltre, e' evidente che  tali  atti  di
indirizzo interpretativo non sono vincolanti per i soggetti  estranei
all'amministrazione, mentre, per gli  organi  destinatari  esse  sono
vincolanti solo se legittime,  potendo  essere  disapplicate  qualora
siano contra legem.». (14) 
    Il blando potere vincolante della  circolare  e'  stato  ribadito
anche dalle Sezioni Unite (15)  che hanno sostenuto che la stessa non
possa essere annoverata fra  gli  atti  generali  di  imposizione  in
quanto tali atti non possono ne' contenere disposizioni derogative di
norme  di  legge,  ne'  essere  considerate  alla  stregua  di  norme
regolamentari vere e proprie. 
    E' opportuno sottolineare che  la  circolare  che  abbia  effetto
esterno direttamente  lesivo  della  posizione  giuridica  del  terzo
estraneo alla P.a. e' autonomamente impugnabile dinanzi al  G.a.  non
dovendo essere necessariamente impugnata solo come  atto  presupposto
di altro provvedimento applicativo. (16) 
    Il  breve  inquadramento  giuridico  consente  di  affrontare  la
problematica del contrasto con il provvedimento di  questo  tribunale
per i minorenni che, sebbene esecutivo, ha trovato ostacolo nella sua
concreta attuazione a causa di una circolare amministrativa. 
    La circolare, come precedentemente ricordato, e' un atto che  non
puo' ledere diritti dei cittadini.  Ne'  puo'  restringere  il  campo
applicativo di una norma di legge  (nel  nostro  caso  l'art.  41-bis
o.p.) che non preclude ai minori i colloqui telefonici con i genitori
detenuti. Tale restrizione appare  del  tutto  irragionevole  e  puo'
comportare una disapplicazione della  stessa,  nel  giudizio  in  cui
viene in rilievo, da parte del giudice ordinario, in  quanto  proprio
la gerarchia delle fonti impone la prevalenza della  norma  di  legge
sulla circolare. 
    Ne consegue che - previa disapplicazione della suddetta circolare
amministrativa   nel   caso   che   occupa    -    deve    demandarsi
all'Amministrazione penitenziaria (e, in specie, al  Direttore  della
Casa circondariale di ...) il compito di organizzare immediatamente i
colloqui  (solo)  telefonici  nei  termini  e  secondo  le  modalita'
indicate dal decreto in data 21 aprile 2020, ribadite con il presente
provvedimento, tra il detenuto D.S. G.C. ed i figli minorenni. 

(1) Siglato   dal   Ministero   della   giustizia,   dal    Ministero
    dell'istruzione, dal Ministero della  famiglia-Dipartimento  pari
    opportunita', dal Tribunale per i minorenni e dalla Procura della
    Repubblica per i minorenni di Reggio  Calabria,  dalla  Direzione
    nazionale antimafia, dalla Procura  della  Repubblica  presso  il
    Tribunale di Reggio Calabria, dall'associazione  Libera  e  dalla
    Conferenza episcopale italiana. 

(2) Cassazione Pen., Sez. I, sentenza n. 4748/2013 

(3) art. 61, decreto del Presidente della Repubblica n. 230/2000. 

(4) T. Martines, testo cit. pag. 480. 

(5) Corte costituzionale sentenza n. 114  del  1979,  cfr.  in  senso
    conforme anche C. cost., sentenza n. 26 del 1999. 

(6) Circolare DAP n. 3676/616 del 2 ottobre 2017. 

(7) Cfr. sentenza Corte costituzionale n. 186 del 2018. 

(8) Ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27  maggio  1991,
    n. 176. 

(9) art. 3 par. 1. 

(10) Committee on the Rights of the Children, General comment No.  14
     (2013) on the right of  the  child  to  have  his  or  her  best
     interests taken as a primary consideration (art. 3, para. 1), 29
     maggio 2013, CRC/C/GC/14, parr. 19 ss. 

(11) Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza  10  giugno  2010,
     Schwizgebel c. Svizzera n. 25762/07 

(12) Circolare DAP n. 3676/616 del 2 ottobre 2017. 

(13) F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo,  IX  edizione,
     2016 Dike giuridica editore, pagg. 521 e ss. 

(14) C. Stato, sez. IV, 27 novembre 2000, n. 6299. 

(15) Cassazione Civ. Sez. Un 23013/2017. 

(16) Tribunale amministrativo regionale Lazio, n. 2800/2019.